Hanno scritto di lui

 

 

CORRIERE DEL TICINO: ” Un Vescovo esemplare”
di Sergio Caratti

L’editoriale del «Corriere del Ticino» è stato firmato dal direttore, Sergio Caratti, che nel tempo del dolore, quando i giorni affrettano il pas­so, aveva realizzato con il Vescovo Eugenio una toccante intervista. «Un Vescovo esemplare: unanime il compianto» ha titolato Caratti, che ha sviluppato anche queste considerazioni:

Non cercò però la preghiera in appoggio alla sua guarigione, ben­sì la «preghiera vicendevole» perché si potesse creare tra lui e i fedeli un vincolo di unità più profondo. In altre parole ai fedeli il Vescovo chiese di considerare anche questa sua dura, amarissima prova, come occasione ed esercizio per una più profonda fratellanza cristiana…
Le sue radici entrano nel profondo, da più generazioni, in quella terra, la Leventina che ci congiunge con i cantoni svizzeri tedeschi.
L’intelligenza e l’amore per lo studio sono valsi ad Eugenio Corecco – come ad altri nostri ingegni – una cattedra universitaria impor­tante nella prestigiosa facoltà friburghese di teologia. Giovane ancora è tornato da noi, ad occuparsi delle anime del suo Cantone nei riguardi del quale sempre ha avuto una visione ampia, lungimiran­te, e una ferrea volontà tesa a realizzare un apostolato che raggiun­gesse tutti gli strati della popolazione…
Volle un clero e dei fedeli dottrinalmente più preparati e più agguerriti: progettò l’apertura a Lugano di un istituto teologico e realizzò questo suo progetto che sta rivelandosi un prezioso appor­to per lo sviluppo della cultura religiosa nel nostro Paese e altrove. L’apertura della Facoltà di teologia gli permise inoltre di riportare in Ticino il Seminario e seguire da vicino la formazione dei futuri sacerdoti della Diocesi. Si adoperò intensamente a ridare impulso al Giornale del Popolo, organo di stampa della Curia, perché meglio rappresentasse i punti di vista, le opinioni della Curia, e ne favorì l’avvicendamento alla direzione. Raccolse mezzi finanziari per le necessità della Chiesa e anche per i progetti ambiziosi e coraggiosi che gli erano cari: e fu la nuova forma di prelevamento dell’imposta di culto che sollevò non poche polemiche e che si è conclusa con la nuova normativa. Sua ultima grande riforma la riorganizzazione della Diocesi in zone pastorali.
Il Vescovo leventinese vedeva, insomma, e con chiarezza esem­plare, che per raggiungere mete impegnative e importanti alla Chiesa ticinese, come a ogni istituzione, occorrevano tre cose: uomini, mezzi di comunicazione e mezzi finanziari. È quanto si è im­pegnato a realizzare con passione e intelligenza…
Ebbene, ci pare di poter dire che l’episcopato di Monsignor Corecco ha ridato impulso ed energia alla Chiesa cattolica del Tici­no. Da profani riteniamo che il peggio che possa accadere a una comunità religiosa sia uno stato di inerzia. Il Vescovo ha contribuito a tenere svegli, alacri, i cattolici ticinesi…
Ma siamo convinti che tutti, ammiratori o avversari, tutti oggi lo piangono, consapevoli di aver perso una guida, un Vescovo straordi­nariamente importante per la sua opera di apostolato e per l’affetto da lui sempre riservato alla gente della propria terra. 

Corriere del Ticino: “Nel dolore spunta l’uomo
Pieno di stima, di riconoscimento dei meriti, soprattutto ricco di umanità lo scritto del consigliere di Stato, Giuseppe Buffi sul «Corriere del Ticino», sotto il titolo: «Nel dolore spunta l’uomo». Ecco alcuni passaggi:

Monsignor Corecco era effettivamente intelligentissimo, col­to, determinato, astuto, qualità tutte da cui guardarsi se poste al ser­vizio di una causa che non è la tua. In più aveva un eloquio ruvido, apparentemente impacciato, come sincopato, ma incredibilmente preciso. I suoi discorsi, le sue riflessioni, i suoi pensieri erano essen­ziali e all’interlocutore restava il compito di gestire le sue pause: in­tervenire subito, attendere che continuasse?
Prima di prendere la parola, ti guardava per lunghi secondi ne­gli occhi. Non aveva niente di curiale.
Non ostentava umanità, comprensione, dolcezza, non ha mai neppure lontanamente alluso a possibili sottintese complicità. Sape­vo delle sue difficoltà in Curia per certe sue decisioni che avevano scosso con energia, forse con violenza, tradizioni, abitudini e con­suetudini dell’«ambiente». Era un innovatore, e come tale conte­stato, e fors’anche ostacolato, in casa sua, da qualche resistenza pas­siva (il Ticino è piccolo, ed è piccolo anche il Ticino delle Chiese).
Lo sapevo. Ero anche consapevole – in parte non me le ha mai na­scoste – delle sue idee, che non potevo condividere, circa lo Stato liberale, e qualche sua iniziativa «politica» (ah, quelle «sue» rotative messe a disposizione del «Mattino della domenica»…) era per me motivo di grandi e non sottaciute perplessità.
L’uomo m’è venuto incontro, a poco a poco, non dai territori dei comuni – pur se talvolta divergenti – interessi di lavoro, non da quelli della sua funzione, bensì dai quartieri, misteriosi e bui, della malattia…
Perché, è la sola risposta che riesco a trovare, dietro ogni nostra divisa, dietro ogni nostra funzione, dietro ogni nostro abito, rimane l’uomo con le sue virtù e le sue grandi fragilità, così come dentro ogni uomo, anche il vegliardo, rimane il fanciullo che è stato (e in un ultimo incontro, di poche settimane fa, egli mi ha parlato pro­prio di questo, del ragazzo che ci rimane dentro, ma anche di quel­lo che continua, per gli occhi di una madre, ad accompagnarci fuo­ri, pur se il ragazzo è diventato Vescovo)… Una sola cosa rimpian­go. Di non aver mai avuto il coraggio, a lui come uomo, di accarez­zargli una mano.
      Giuseppe Buffi

La Regione: Un uomo di coraggio
di Monica Piffaretti

Ne sono certa: Eugenio Corecco sarà ricordato come un grande Vescovo. E queste non vogliono essere parole di circostanza di fronte alla morte: le aborrisco e non le avrei scritte. So che su moltissime cose la pensavamo diversamente. Ma questo non cambia né il mio giudizio, né il mio rispetto nei suoi confronti. Eugenio Corecco lo ri­peto è stato un grande Vescovo: un uomo con una personalità molto forte. Carismatica direi pensando bene al significato di questa parola.
Nella storia il suo nome resterà legato soprattutto alla realizza­zione dell’ambizioso progetto di un istituto di teologia a Lugano, il primo istituto universitario della Svizzera italiana. La sua scomparsa, pur attesa ed annunciata, lascia indubbiamente un grosso vuoto nel mondo cattolico e nella diocesi ticinese.
Io lo conoscevo poco, qualche stretta di mano, qualche incontro fugace; l’ultimo alla conferenza sull’aiuto umanitario tenuta dal presidente del CICR Cornelio Sommaruga a Lugano quando la sua malattia era già manifesta. La sua malattia, quella che lo ha fatto sentire così vicino alla gente. E per una volta il termine «gente» non è abusato. La gente, quella che crede e anche quella che non crede. La gente che davanti alla fragilità dell’esistenza umana è tut­ta uguale, e tutta si interroga sul senso della propria vita vissuta at­traverso gioie e sofferenze fino al momento estremo. Qualcuno tro­va risposte e certezze, altri no.
Il Vescovo, che aveva saputo dire ai ticinesi (in un’intervista te­levisiva molto intensa) di avere paura di sparire nel nulla e di prova­re un senso di ribellione e di incomprensione davanti al male che lo stava distruggendo, aveva ormai abbattuto gli steccati ideologici.
Era stato capito da tutti. Capito e stimato come uomo. Un uomo che affronta la sofferenza a testa alta. Con coraggio e dignità.
  

L’altra Notizia: ” Parlava la lingua della gente”
di Flavio Maspoli

(…) Ma attraverso la sua malattia, grazie anche al fatto che il Ve­scovo ha voluto rendere presente ai nostri occhi la sua sofferenza e la sua lotta, quel faro non si è spento. La «passione» sofferta da Corecco costituisce in fondo una lezione di cristiana comprensione e di cristiana partecipazione. Negli ultimi giorni della sua vita, il Vescovo ha avvertito l’abbraccio del Ticino tutto, e questo abbrac­cio rappresenta la migliore testimonianza di affetto da una parte, ma pure e soprattutto del fatto che a monsignore è stato ricono­sciuto il merito di aver svolto la sua missione terrena nel migliore dei modi. Se pensiamo all’inizio del suo mandato, se pensiamo a certe critiche che erano piovute ingenerosamente e in termini aprioristici sull’uomo che andava a prendere in mano le redini di una Diocesi «di frontiera» (…) non possiamo che chinarci di fronte a tanto lavoro svolto in modo puntuale e preciso e – non ci stanche­remo mai di ripeterlo – con un Vescovo che stava vicino alla gente.
Rivolgendo lo sguardo verso l’alto, nell’aria tersa della prima giornata di marzo, ieri abbiamo avuto l’impressione che l’Altissimo avesse provveduto a squarciare i cieli per accogliere il suo servo, il nostro Vescovo.

Neue Zürcher Zeitung: “Canonista e Pastore”

(…) Corecco non ha avuto timore, con parole chiare, di prende­re posizione su fatti che avvenivano al di fuori della Chiesa.
Un anno fa criticò, ad esempio, l’annuncio della chiusura della Monteforno di Bodio, e in una messa pubblica giudicò apertamente gli organi dirigenti del gruppo Von Roll e la loro mancanza di responsabilità usando la parola «menzogna».
La sua chiara e conseguente posizione gli ha portato, insieme ad alcune critiche, anche molto rispetto da parte della popolazione ti­cinese.
Alcuni complimenti gli sono giunti anche dagli ambienti laici ticinesi per il suo riuscito impegno in favore della fondazione di una Facoltà di teologia e la riapertura del seminario per la formazione dei preti a Lugano.
Eugenio Corecco ha guadagnato un’alta stima nel mondo catto­lico, non tanto attraverso la sua azione diretta nella sua diocesi, quanto con la sua azione sovraprovinciale, esplicata nella materia in cui era maggiormente esperto, il diritto ecclesiale.
(…) La chiarezza e la sagacia che caratterizzavano anche i suoi discorsi, si imponevano e dovevano imporsi; si rimaneva sotto il suo influsso, se si era d’accordo con lui oppure no.
(…) Egli poteva essere percepito dal clero come intransigente, e con ragione, ma il popolo dei credenti sentiva il suo influsso come benefico. È una questione di statura morale, e l’uomo di Chiesa Eugenio Corecco era un uomo di grande levatura morale.
          (r.u.)

 

JOURNAL DE GENÈVE:  “La malattia, invito alla conversione”
di François Le Roux

(…) Personalità gioviale, comunicativa, gli piacciono le cose semplici, non troppo sofisticate, secondo chi gli è stato vicino. Di fronte agli ostacoli ama dire: «La miglior cosa di fronte a certe difficoltà è di lasciare che il tempo faccia intravedere le soluzioni». La sua ultima prova fu la malattia.
«Accettare il dolore nella quotidianità gli ha donato una grande profondità», sottolinea uno dei suoi collaboratori. Coraggioso nei confronti di una diagnosi di tumore all’osso sacro, «un fulmine a ciel sereno», ne parla apertamente ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli.
«La malattia non è qualcosa da nascondere, ma un invito alla con­versione personale».
Per padre Trauffer, segretario della Conferenza episcopale, egli è riuscito in un tempo estremamente corto a mettere in opera le sue visioni della Chiesa per il Ticino. «È così che resterà nella memoria della Chiesa svizzera».

il Lavoro:” Fedeltà al motto”

Sul settimanale dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese «Il Lavoro», il ricordo e la gratitudine per il Vescovo Eugenio sono stati espressi da mons. Franco Biffi che ha collegato la scelta del motto al­l’azione episcopale svolta da mons. Corecco, con una sottolineatura del­l’impegno nel mondo del lavoro e, più in generale, nel campo sociale.
Ecco alcuni passaggi dell’editoriale di mons. Biffi che si rivolge in tono molto affettuoso in forma diretta al suo Vescovo per l’estremo saluto, soffuso di struggente malinconia:
Già nella felice scelta del motto del suo episcopato «In omnibus aequitas quae est Deus», «L’equità in tutto perché è Dio», Lei ha di­mostrato una preveggenza delle necessità dell’uomo e delle società attuali. Pure il venerato Suo antecessore Mons. Aurelio Bacciarini era andato in questa direzione, quando nel suo programma d’azione pa­storale si era imposto il motto «In omnibus Charitas», «Su ogni cosa la carità»: ma Lei è passato oltre quest’eminente concetto universale della «carità», per estenderlo, secondo le più moderne visioni della Chiesa in campo sociale, al criterio basilare dell’equità.
Lei, Eccellenza, scegliendo nel 1986 l’Equità come valore emblematico della linea programmatica del suo Episcopato, ha sa­puto interpretare come pochi i segni dei tempi, in perfetta conso­nanza con quest’evoluzione: e a quest’anelito dinamico di continua ricerca della perfezione della condizione umana, ha sempre adegua­to il suo pensiero e la sua intensa vita pastorale. É un merito che tutti Le riconoscono…. In questo contesto la grande famiglia cri­stiano-sociale ticinese e il popolo lavoratore tutto, oltre che l’omag­gio più sentito e il cordoglio più profondo per la sua inopinata dipartita, Le esprime, tramite mio, l’imperitura gratitudine per l’at­tenzione, la comprensione e l’appoggio che ha dato alla nostra atti­vità sindacale, ai problemi e alle aspirazioni di giustizia che ci muo­vono. Non si potranno tanto presto dimenticare le sue parole di fuoco pronunciate davanti ai cancelli della Monteforno di Bodio, che stavano per chiudersi il 6 marzo dell’anno scorso. Un richiamo vigoroso alle responsabilità di chi poteva, al «rispetto, alla pratica di quei Comandamenti che regolano il nostro rapporto personale e sociale con Dio contenuti nella prima Tavola della Legge, affinché la nostra vita umana non si trasformi in barbarie e rimanga un ri­flesso dell’immagine e somiglianza di quel Dio trascendente che portiamo dentro di noi». Un appello accorato alle coscienze per ri­cordare che «abbiamo bisogno e abbiamo diritto di poter constata­re che quanto succede e viene deciso, avviene e succede nel rispetto assoluto della giustizia. Non è possibile che la gente perda il lavoro, che le famiglie siano destabilizzate, che una regione sia precipitata in una situazione di depressione, unicamente in nome del profitto e ancor meno della sua massimizzazione. La vita umana sociale deve essere fondata sulla giustizia!».
Una sintesi pregnante e caratterizzante del Suo – ahimé troppo breve – Magistero sociale, un monito contrassegnante preciso ed incisivo che dovrebbe essere da tutti meditato. Personalmente, Eccellenza, chiudendo questo mio povero ed inadeguato scritto, non posso che esternarLe la mia più profonda riconoscenza per la stima, l’affetto e l’amicizia di cui mi ha sempre circondato e che l’hanno spinta, nel momento della difficile prova che mi ha colpito, in que­sti ultimi tempi a offrirmi l’ospitalità generosa nella Sua casa.
L’esserLe stato vicino in quest’ultima tribolata fase della Sua vita, l’aver potuto intuire e condividere con Lei progetti, speranze e delusioni è stato per me un privilegio che ha inciso profondamente il mio animo.
Ho potuto conoscerLa così più intimamente, e al di là della chiarezza del pensiero del Maestro di diritto che già apprezzavo e che mi ha aperto nuovi orizzonti anche nel campo che mi è specifi­co, ho potuto intravedere la grandezza, la generosità e la pregnante umanità del Suo animo che si celavano dietro il Suo stile, che al pri­mo approccio poteva apparire un po’ distaccato, sbrigativo e mana­geriale. Un esempio di vita, invece, di ansia e di fervore per le cose dello spirito, di amore e di sollecitudine per le aspirazioni delle ani­me da condurre a Dio che Le sono state affidate.
Gliene sarò perennemente grato.
Don Franco Biffi

 

Popolo e libertà “Il cor ch’egli ebbe”
don G.M. Colombo

Sul settimanale del Partito popolare democratico, «Popolo e Libertà», don Giovanni Maria Colombo, che fu predecessore di don Eugenio Corecco come parroco di Prato Leventina, ha fatto decollare i suoi ricordi proprio dalla Leventina:
Prima che partissi da Prato colle lacrime agli occhi, chiamato su esplicita richiesta del Rettore del collegio Papio di Ascona (1956), seppi che il Vescovo Jelmini aveva designato Don Corecco a succe­dermi. Per me fu una grande gioia. Potevo star tranquillo: i miei parrocchiani sarebbero stati in buone mani.
Una simbiosi di intenti che approfondì l’amicizia tra noi due: un’amicizia coltivata con lunghi colloqui, che si protraevano fino ad ore piccine, quando dopo aver messo a letto i ragazzi della colonia asconese di Fiesso, salivo a trovarlo con la mia Vespa. Si parlava a lungo delle cose che ci interessavano di più, libri, studi, persone care, soprattutto dei giovani di Prato, Rodi, Fiesso, Mascengo e Morasco, che egli sapeva organizzare e formare meglio di me. E non si trascu­ravano i suoi progetti di ulteriori aggiornamenti universitari, che ho sempre incoraggiato. Gli confidavo le mie difficoltà e gli chiedevo consigli, stupito del suo acume e della sua saggezza. Facevamo insieme delle omeriche risate. E così potei constatare il cor ch’egli ebbe.
É risaputo che monsignor Corecco non tenne per sé il suo stipen­dio di docente universitario, ma lo investì nell’acquisto e nella gestio­ne della casa di Rue Gambach, a favore dei suoi studenti di Friborgo. Nonostante i soldi che gli possono essere passati tra le mani, è morto povero. Il cor ch’egli ebbe l’ho visto durante il precipitare della salu­te. Ogni giorno piovevano dal suo studio fogli e fogli, che le segreta­rie dovevano dattilografare. Si spese così fino quasi alle ultime setti­mane per gli altri. Lavorava come se non fosse ammalato. In corag­giosa comunione con tutti gli ammalati.

Il Mattino della domenica:”Addio Eugenio”
di Giuliano Bignasca

«Addio Eugenio» è il titolo con cui il settimanale della «Lega dei ticinesi», «Il Mattino della domenica», saluta il Vescovo all’indomani dei funerali. A scrivere è il presidente della Lega, Giuliano Bignasca:
«… Ha sollecitato tutti a riporre le polemiche, le velleità e a rimboccarsi le maniche per questo suo e nostro Ticino, per la sua e la nostra gente. E in fondo idealmente, con l’estremo sacrificio, li ha riuniti tutti i suoi ticinesi, credenti e atei. E dicevano che aveva spaccato in due la Diocesi, la sua Chiesa!! Ci ha presi tutti per l’ani­ma, l’abbiamo ammirato, ci ha commossi e abbiamo scoperto un amico che voleva darci un estremo colpo di mano a capire. Si è por­tato in giro il suo pesante carico con il sorriso, ne parlava con sere­nità, consapevole che il suo Dio gli aveva imposto la più dura delle prove e che avrebbe dovuto metterla a frutto, darle significato, do­veva ricordare che la sua era la sofferenza di molti, una tragedia che rimane chiusa nelle corsie degli ospedali perché la vogliamo ignora­re, perché ci terrorizza. Ma è una macabra mosca cieca, magari ti tocca e allora tutto quanto diventa insipido, perde di valore, di con­sistenza, tutto quanto appariva essenziale diventa insignificante. Voleva ricordarci che la dama con la «ranza» ci livella tutti, che quando se ne sente l’alito gelido si tirano le somme di quello che si è o non si è fatto e non si può più barare nemmeno con se stessi né, tantomeno, con Dio».
Giuliano Bignasca

Rivista di Lugano: “La gratitudine di Lugano”
Mons. Arnoldo Giovannini arciprete della Cattedrale di Lugano

Con mons. Vescovo ho potuto intrecciare rapporti di ministero e di rinnovamento. Non è stato questo per me motivo di orgoglio ma occasione di merito e gioia di servizio.
C’era anzitutto, da parte di mons. Corecco, un dovere di restituzione: il Seminario, da tanti anni a Friborgo, ritornato nella sua Diocesi, con a fianco la Facoltà di teologia da lui fondata. Non era quasi concepibile la «Terra di San Carlo», mutilata del suo Seminario. Chi suggerì o aiutò a convincere, con l’autorità personale propria al realizzarsi di ciò che la Diocesi quasi esigeva, ha diritto a chiamarsi schietto aiuto del Vescovo.
Un secondo motivo di gratitudine ritengo gli si debba per la premura dimostrata di fare della nostra città, con la costituzione della nuova Parrocchia di Lugano «una famiglia», con la caratteri­stica di unità pastorale, di collaborazione reciproca da parte di tutti coloro che la compongono. Siamo ancora lontani dalla meta, ma con la buona volontà di tutti si potrà raggiungere buoni risultati.
E come non pensare al non indifferente merito di mons. Corecco per assicurare – alla Parrocchia di Lugano e a tante altre Parrocchie della Diocesi – il «dovuto altare a chi l’altare serve», come San Paolo, senza vergogna, rivendicò? E il problema dei restauri della Cattedra­le? Anche questo desiderio perseguì il defunto Vescovo. Idee, in me­rito, le Commissioni ne ebbero e ne hanno. Da parte mia limitata­mente alle competenze, mi sono assunto le mie responsabilità, pen­sando soprattutto ai legami di affetto della nostra gente verso la Cat­tedrale. Difficile pronunciarsi e convincersi su determinati aspetti del restauro che proprio per questo non può essere imminente.
Mons. Corecco non ha avuto la soddisfazione di vedere la sua Cat­tedrale restaurata. Ma chi gli succederà, come pastore della nostra Diocesi, questo suo vivo desiderio l’accoglierà e lo realizzerà.

TICINO: “Fedeltà, coraggio, modernità”

Sulla rivista “Ticino di marzo, Giuseppe Rusconi ha scritto che
 … Eugenio Corecco, fino a quando è stato umanamente possibi­le, ha voluto essere anche fisicamente in mezzo alla sua comunità. Fedele alla concezione di una Chiesa dinamica nelle strutture, otti­mista e priva di complessi d’inferiorità nella trasmissione del mes­saggio, fedele ai suoi contenuti millenari. Non era quello promosso da monsignor Eugenio Corecco un cattolicesimo “à la carte”, in cui ognuno può scegliersi comodamente quanto desidera e trascurare quanto lo disturba. Non era – il Vescovo di Lugano – sensibile alle mode per natura effimere, allo zigzagare dottrinale di tanti, alle lu­singhe dell’apparente, facile popolarità.
Il suo era un cattolicesimo “difficile” in tempi di scristianizza­zione e di omologazione a un materialismo che vorrebbe delegare la riflessione sulla trascendenza a pochi “poveri illusi”.

3 Valli: ” L’esempio, la speranza”
Tarcisio Bullo

Era un uomo colto, sapeva dove voleva arrivare e come arrivar­ci. Eugenio Vescovo ha diretto la Diocesi e il clero ticinese con mano ferma, poco restio ad accettare i compromessi. Ha lasciato l’impronta di un grande uomo e la sua sfera di influenza ha certa­mente oltrepassato gli steccati della vita religiosa per contagiare il paese tutto. Anche per questo non era circondato soltanto da amici ed anche per questo non sempre, personalmente, abbiamo condivi­so certe sue decisioni, certi suoi atteggiamenti.
Ma i grandi uomini restano tali, se lo sono davvero, indipenden­temente dal fatto che professano idee non sempre aderenti alle no­stre. Ai nostri occhi, Eugenio Corecco è stato un grande uomo e non lo affermiamo perché adesso ha trasceso la vita terrena per vi­vere quella dimensione celeste in cui credeva. Proprio per questo in fondo a noi dispiace un po’ che Eugenio Corecco sia diventato Ve­scovo. Non crediamo di mancargli di rispetto, anzi, dicendogli che se si fosse dedicato a questioni più terrene, se per esempio avesse intrapreso una carriera politica, forse la nostra terra, questa nostra regione oggi ricca soprattutto di problemi, avrebbe avuto in lui un uomo politico di grande spessore, probabilmente capace di aiutarla un pochino di più in esperienze di vita pratica quotidiana. Eugenio Corecco avrebbe potuto essere quella personalità politica che da tempo ormai manca in queste nostre terre, capace di occuparsi con forza, vigore e successo dei suoi figli. A noi dispiace che non abbia avuto tempo a sufficienza e motivazioni abbastanza forti per dedi­carsi con la stessa decisione a cui si è dedicato alle questioni religio­se ai problemi terreni che ci angustiano.
Ma lo capiamo bene: il suo mandato era un altro e a un altro vo­lere doveva obbedire. Ci resta quell’intervento forte, un po’ estem­poraneo forse, dell’anno scorso alla Monteforno, ma si capiva in fondo che al di là della solidarietà cristiana espressa a chi si s’incamminava verso difficoltà ancora inesplorate, nella sua presenza a Bodio s’avvertiva un certo disagio, che del resto si potrebbe però considerare proprio dell’uomo-Vescovo, forte ma non arrogante, quasi schivo, sulle prime apparentemente un po’ titubante nell’ap­proccio con i suoi interlocutori.
Anche chi non è credente, o lo è poco, in Eugenio Vescovo può – vorremmo quasi dire deve – intravedere la figura di un grande uomo, capace di imprimere una svolta nell’ambito in cui è stato chiamato a donare la sua opera.