Il contributo di Eugenio Corecco alla canonistica

Una chiave di lettura
di
Arturo Cattaneo

Pubblicato in E. Corecco, Ius et communio. Scritti di Diritto Canonico, a cura di G. Borgonovo e A. Cattaneo, Casale Monferrato 1997, pp. 35-43

Basta uno sguardo all’indice di questi due volumi per apprezzare l’importanza del contributo apportato da Corecco alla canonistica. Oltre ai sette temi che in quest’opera raccolgono i suoi articoli più significativi andrebbero menzionate altre questioni alle quali l’insigne canonista svizzero dedicò meno spazio, ma che mostrano l’ampiezza dei suoi interessi: il diritto ecclesiastico dello Stato, le relazioni Chiesa–Stato, l’amministrazione della giustizia e la sentenza canonica, il ruolo dell’università cattolica e altri come ben mostra l’elenco bibliografico riportato in questo volume.
Il valore del suo contributo, più che dalla sua ampiezza, proviene però soprattutto dallo spirito innovativo e dall’originalità con cui – sempre pienamente fedele al magistero della Chiesa – seppe affrontare le diverse questioni. Il desiderio di contribuire ad un rinnovamento del diritto canonico e l’originalità di alcune delle sue proposte sono infatti altrettante espressioni del suo vivo amore alla Chiesa ed in modo particolare al Romano Pontefice, quale primo rappresentante di Cristo sulla terra e, come tale, principio e fondamento della comunione ecclesiale.
In queste poche pagine non sarà evidentemente possibile analizzare i diversi aspetti della sua produzione scientifica, dello sviluppo del suo pensiero e nemmeno segnalare in che cosa consiste l’originalità di alcune delle soluzioni da lui proposte. Una serie di studi sul contributo di Corecco verrà pubblicata negli Atti del Simposio celebratosi a Roma nel novembre 1996 per commemorare quattro grandi canonisti della seconda metà del secolo, fra cui lo stesso Corecco. Altri congressi ed altri studi contribuiranno a mettere a fuoco il valore delle sue proposte. In questa sede ci limiteremo perciò ad indicare quella che ci sembra essere la chiave di lettura per comprendere ed apprezzare i suoi scritti scientifici.

1.La canonistica nell’orizzonte della fede e della teologia
Già il titolo che abbiamo scelto per questa raccolta: “Ius et communio” manifesta la chiave di lettura dei suoi scritti. Il filo d’Arianna che percorre le sue riflessioni canonistiche è infatti la convinzione che il diritto ecclesiale va elaborato e rinnovato quale elemento intrinseco al mistero di comunione che è la Chiesa. Il diritto canonico dovrà perciò essere necessariamente compreso in una prospettiva di fede e la canonistica studiata quale scienza teologica e non meramente giuridica.
Per comprendere l’originalità della proposta di Corecco ed il suo impegno nel propagarla occorre situarla fra le varie correnti della canonistica odierna. Esse si differenziano per la rilevanza che viene attribuita ai due aspetti presenti nel diritto canonico: quello teologico e quello giuridico. I diversi modi di metterli in relazione, di essere uno determinante per l’altro e di caratterizzare quindi ciò che possiamo chiamare il “metodo canonistico” ha dato luogo alle cosiddette Scuole di diritto canonico. Secondo la priorità che viene attribuita a uno o all’altro aspetto, le questioni epistemologiche e metodologiche vengono focalizzate e risolte diversamente. Il diritto canonico può infatti essere inteso come una realtà essenzialmente ecclesiale specificata giuridicamente, oppure come una realtà essenzialmente giuridica specificata ecclesialmente. Nel primo caso il suo studio verrà considerato come scienza teologica, nel secondo come scienza giuridica 1 .
Fra i più convinti assertori della prima posizione va senz’altro annoverato Eugenio Corecco. Il canonista svizzero ha raccolto e diffuso con grande impegno quell’istanza del suo maestro Klaus Mörsdorf rivolta a far sì che il diritto canonico venisse compreso quale elemento essenziale della Chiesa e a promuovere un rinnovamento della canonistica nella consapevolezza della sua natura teologica 2 .
La percezione della teologicità del diritto canonico è imprescindibile per cogliere le profonde differenze esistenti fra quest’ultimo ed il diritto secolare. L’importanza di tale discernimento si è acutizzata nella misura in cui il diritto secolare appare sempre più affetto dal formalismo positivista. L’impulso dato da Mörsdorf e Corecco alla canonistica tende quindi a renderla più attenta al mistero della Chiesa, alla configurazione kerigmatico-sacramentale della sua vita e alle esigenze che derivano dalla sua missione salvifica.
La concezione promossa da Mörsdorf e sviluppata da Corecco ha suscitato grande interesse e approvazione in vasti settori della canonistica e ha trovato un importante riconoscimento sia nel magistero di Paolo VI che in quello di Giovanni Paolo II. Chiara testimonianza di ciò sono alcuni importanti discorsi di Paolo VI sul diritto canonico. Quest’ultimo venne qualificato dal Papa come uno “ius sacrum, prorsus distinctum a iure civili“per il fatto che si tratta di uno “ius societatis visibilis quidem, sed supernaturalis, quae verbo et sacramentis aedificatur et cui propositum est homines ad aeternam salutem perducere” 3 .
Tale impostazione è stata però anche criticata, e a volte in modo alquanto radicale, da parte di canonisti di altre Scuole. Il più diffuso malinteso sulla teologizzazione della canonistica proposta da Corecco è quello di pensare che essa porti a degiuridizzare il diritto canonico. Quest’ultimo si diluirebbe cioè nella teologia a scapito della sua giuridicità: della sua imperatività, della sua forza vincolante e della precisione richiesta da ogni complesso legislativo. Alla base di questo malinteso sembra esserci un equivoco sul concetto di teologia, di disciplina teologica e quindi su quello di teologizzazione.
Un presupposto indispensabile per ogni dibattito scientifico è l’accordo sul significato dei termini usati. Conviene quindi, prima di tutto, chiarire i termini fondamentali del discorso di Corecco.
In primo luogo occorre tener presente che per teologia va intesa ogni conoscenza di Dio e del suo disegno salvifico alla luce della fede (il che implica la comunione con la Chiesa e, in particolar modo, la guida del magistero). In questa visione amplia – ma tuttavia profondamente unitaria in virtù della luce della Rivelazione – si distinguono varie discipline teologiche secondo le diverse prospettive con le quali viene contemplato l’unico piano salvifico: sistematica, morale, ascetica, pastorale, liturgica, storica… e giuridica.
Ecco allora perché la canonistica non può venir considerata quale mera scienza giuridica, come se avesse il medesimo oggetto formale e metodo della scienza giuridica secolare. Ciò equivarrebbe infatti a lasciare al margine o al di fuori dello studio del diritto canonico la considerazione che il nucleo delle sue norme appartiene alla Rivelazione, con le conseguenze che ne derivano.
Si comprende così perché la teologizzazione del diritto canonico non implichi affatto una degiuridizzazione di quest’ultimo. In uno dei suoi primi scritti Corecco, insieme al collega e amico A.M. Rouco Varela, affermò con tutta chiarezza: “Non vi sarebbe equivoco maggiore che quello di confondere – o equiparare – la ‘teologizzazione’ del diritto canonico con la sua ‘degiuridizzazione’. Gli stessi dati ecclesiologici che ci hanno portato a sostenere la sua peculiarità teologica ci costringono a riconoscere il suo carattere giuridico” 4 . In uno scritto posteriore Corecco aggiungeva e spiegava: “La teologizzazione o sacramentalizzazione del diritto canonico non portano alla sua de-giuridizzazione, poiché la normatività che emerge dalla Chiesa – evidenziata dall’istituto della scomunica – è indice inequivocabile di un’autentica giuridicità, cioè dell’esistenza di un’intimazione vincolante per i rapporti intersoggettivi dei cristiani nei confronti dell’autorità ecclesiale e tra loro. Non esiste infatti realtà più fortemente vincolante e imperativa del fatto che Dio si manifesti agli uomini attraverso la concretezza storica della Chiesa. (…) Il diritto canonico ha una forza vincolante tanto più grande rispetto al diritto secolare quanto più è profondamente radicato nella normatività del ius divinum, non primariamente naturale, ma positivo, cioè della rivelazione” 5 .
La raccolta di alcuni dei principali scritti di Corecco pubblicata in tedesco venne significativamente intitolata “Ordinatio fidei” 6 . Nell’articolo introduttorio L. Gerosa presenta l’espressione “ordinatio fidei” come il concetto chiave dell’insegnamento canonistico del suo maestro 7 . Con questa espressione Corecco ha cercato infatti di evidenziare le conseguenze che, nella concezione della legge canonica, devono essere tratte dall’indicazione epistemologica conciliare “in iure canonico exponendo… respiciatur ad Mysterium Ecclesiae” (Optatam totius, 16/d). In altri termini si tratta di estendere il discorso sulla teologicità del diritto canonico al tema della legge canonica e di introdurre la centralità della fede nel nucleo stesso della sua definizione.
Per comprendere il valore della proposta di Corecco va anche ricordato che il Codice non offre nessuna definizione formale della legge canonica. È perciò compito dei canonisti elaborare tale definizione e spiegare quali sono gli elementi costitutivi della lex canonica. Finora la dottrina si era limitata a prendere come base la definizione di legge formulata da San Tommaso d’Aquino:“Lex est quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata” 8 . L’innovativa proposta di Corecco consiste nell’affermare che l’elemento formale della legge canonica non è sufficientemente espresso dall’espressione ordinatio rationis e che quest’ultima va sostituita con quella di ordinatio fidei.
Anche questa proposta è stata accolta con grande interesse, ma è stata pure criticata. Il motivo principale delle critiche ci sembra risiedere in un malinteso. La sostituzione della “ordinatio rationis” con la “ordinatio fidei” venne infatti interpretata come se la ragione venisse esclusa e sostituita dalla fede. Diversi canonisti hanno perciò proposto di mantenere l’espressione“ordinatio rationis” aggiungendovi “fide illuminatae” 9 . Una lettura attenta delle tesi di Corecco ci porta invece a riconoscere che la sua proposta non implica affatto tale esclusione o sostituzione, per il semplice motivo che la fede non sostituisce la ragione, ma la presuppone e la illumina.

2.   La necessità del metodo teologico per la canonistica
Uno degli aspetti più originali del contributo di Corecco si trova nell’affermazione che la canonistica non è solo una disciplina teologica, ma che anche il suo metodo è teologico. Per evitare malintesi occorre in primo luogo osservare che essa va presa “non come formula definitoria, ma come criterio orientativo” 10. Un criterio che indica innanzitutto che nella canonistica il metodo non è eterogeneo alla sua essenza teologica, ma un modo di pensare adeguato alla natura del diritto ecclesiale. “Il metodo – ha osservato Corecco – deve essere definito a partire dalla natura dell’oggetto e non viceversa”.11
In fondo si tratta semplicemente di trarre le conseguenze metodologiche dalla teologicità del diritto canonico e dalla centralità della fede nella sua comprensione. Ciò che Corecco voleva evitare era soprattutto l’errore “di credere che dopo aver dimostrato l’esistenza di uno statuto teologico del diritto canonico sia ancora possibile trattarlo dal profilo giuridico come realtà secolare” 12 . Egli affermò di conseguenza: “La scienza canonistica deve applicare con rigore il metodo teologico, lasciando a quello giuridico – così come è stato elaborato dalla scienza giuridica moderna – il ruolo di disciplina solo ausiliare, poiché il nesso tra il diritto divino e quello canonico-umano può essere stabilito soltanto all’interno della logica e della metodologia proprie alla fede” 13 .
Anche qui è necessario spiegare brevemente che cosa significa l’espressione “metodo teologico”. Il metodo teologico (o logica della fede) consiste essenzialmente nel basarsi sui princìpi offerti dalla Rivelazione e nel procedere alla luce della fede (e quindi con la guida del magistero). Proprio per questa centralità della fede la teologia venne tradizionalmente chiamatascientia fidei. Il metodo teologico, comune a tutte le discipline teologiche, trova in ciascuna di esse una determinata specificazione, in consonanza con le caratteristiche del rispettivo punto di vista. Ciò implica che anche il metodo giuridico riceve dalla fede una intrinseca modalizzazione. Il canonista si distingue perciò “da un dogmatico o da un altro teologo, perché l’oggetto materiale della sua conoscenza non è il mistero cristiano nella sua globalità, ma semplicemente nelle sue implicazioni giuridico-istituzionali, siano esse di diritto divino o di diritto umano” 14 .
Una volta accertato che il diritto canonico, per la sua intrinseca connessione con la Chiesa – e quindi con la Rivelazione – richiede di essere studiato con princìpi, criteri e categorie determinate dalla fede, si comprende l’osservazione di Corecco per cui, “sotto il profilo metodologico, ciò significa che il metodo giuridico – in quanto espressione della razionalità umana – non può essere applicato al diritto canonico in modo autonomo, ma subordinato. (…) Si tratta, giova osservarlo, di una subordinazione non solo estrinseca, ma intrinseca alla fede, poiché quest’ultima non può essere considerata solo come orizzonte esterno entro il quale la scienza giuridica può ancora muoversi autonomamente, evitando semplicemente di sconfinare oltre i limiti della teologia. Questo procedimento permetterebbe di trattare il diritto canonico come una realtà secolare o mondana. Perché il diritto canonico possa rimanere una realtà autenticamente ecclesiale senza subire compromettenti secolarizzazioni, il principio ultimo che informa intrinsecamente il suo metodo non può essere che la fede” 15 . Altrove Corecco ha sottolineato anche che “nel metodo canonistico non è sufficiente, come ha ritenuto la scuola italiana, usare della teologia come se fosse solo l’orizzonte estrinseco, entro il quale il discorso giuridico deve muoversi per non sconfinare su conclusioni eterodosse dal profilo ecclesiologico. (…) L’elemento teologico deve informare, dall’interno, il metodo stesso della teoria generale, poiché è un elemento essenziale del discorso canonistico in quanto tale” 16 .
Dopo questi schiarimenti terminologici e concettuali, si comprende perché metodo teologico e metodo giuridico non si escludono mutuamente nel senso di un aut … aut, ma contribuiscono, ciascuno a suo modo, a configurare il metodo della canonistica. Sulla complementarità tra i due aspetti della canonistica il canonista svizzero ha osservato: “Allo stesso modo che la sua realtà teologica è anche giuridica, così la sua realtà giuridica è anche teologica senza possibilità di simbiosi” 17 . Questa complementarità si riflette sul suo metodo in quanto fondamentalmente teologico e specificato o caratterizzato dalla prospettiva giuridica, ossia dal punto di vista peculiare di questa scienza.
Le riflessioni di Corecco sottolineano il fatto che il diritto canonico non è una sovrastruttura umana, ma un elemento essenziale della Chiesa quale sacramentum salutis ed in questa prospettiva va compreso anch’esso. Come evitare altrimenti che il diritto canonico venga snaturato cadendo nel positivismo e nel formalismo? E come sarebbe altrimenti possibile penetrare nel senso e nelle caratteristiche delle norme e delle istituzioni giuridiche della Chiesa? Corecco ha quindi giustamente messo in evidenza la necessità della teologizzazione del diritto canonico e l’importanza di aplicare il metodo teologico nella canonistica.
Una concezione della canonistica come mera scienza giuridica difficilmente potrebbe infatti evitare il pericolo di introdurre nella Chiesa una visione giuridica della vita ecclesiale sullo stampo di quella della società civile. Al riguardo è stato osservato: “La caratteristica del diritto della Chiesa emerge chiaramente soprattutto nel modo con cui Corecco tratta la questione centrale della costituzione ecclesiastica, cioè la domanda sulla relazione fra istituzione e costituzione nella Chiesa, nonché le relative domande sul potere ecclesiale. Per la chiarificazione di queste domande non si può partire da un modello di costituzione di provenienza statuale, ma da dati teologici” 18 . In questo senso si è pronunciato Giovanni Paolo II nella presentazione del nuovo Codice: “E’ da questa mirabile realtà ecclesiale, visibile e invisibile, una ed insieme molteplice, che dobbiamo riguardare il ‘Ius Sacrum’, che vige ed opera all’interno della Chiesa: è prospettiva che, evidentemente, trascende quella meramente storico-umana, anche se la conferma e avvalora” 19 .

A. Cattaneo
Professore ordinario di Diritto Canonico
alla Facoltà di Teologia di Lugano

1    Sulla questione cfr. A. CATTANEO, Teologia e Diritto nella definizione epistemologica della canonistica, in “Ius Ecclesiae” (1994) pp. 649-671.

2  Nella larga schiera di canonisti formatisi all’Istituto Canonistico dell’Università di Monaco Corecco non è l’unico ad aver raccolto quell’istanza epistemologica. I nomi di W. Aymans, G. May e A.M. Rouco Varela sono ben noti nel mondo scientifico internazionale.

3   PAOLO VI, Allocuzione al corso di attualizzazione per membri dei tribunali ecclesiastici, il 13.XII.1972, in AAS, 64 (1972) p. 781. Negli stessi termini il Papa si diresse alla Rota Romana l’8.II.1973, in AAS, 65 (1973) p. 96.

4  E. CORECCO e A.M. ROUCO VARELA, Sacramento e diritto: antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una teologia del diritto canonico, Milano 1971, p. 61.

5   E. CORECCO, Il problema dell’unità del diritto nel pensiero filosofico antico e cristiano, in O. FUMAGALLI CARULLI, Società civile e società religiosa di fronte al Concordato, Milano 1980, p. 53 s. Questo articolo si trova anche nel volume di E. CORECCO, Theologie des Kirchenrechts. Methodische Ansätze, Trier 1980, p. 97 s.

6    E. CORECCO, Ordinatio fidei. Schriften zum kanonischen Recht, editato da L. Gerosa e L. Müller, Paderborn 1994.

7   L. GEROSA, “Lex canonica” als “ordinatio fidei”, in ibid., p. XVI.

8    S. Th. I/II q. 90, a. 4, c.

9  Cfr.: J. LISTL, Die Rechtsnormen, in AA.VV., “Handbuch des katholischen Kirchenrechts”, Regensburg 1983, p. 87; F. X. URRUTIA, De natura legis ecclesiasticae, in “Monitor Ecclesiasticus” 100 (1975) p. 417; G. GHIRLANDA, De recta iuris ecclesialis methodo semper servanda, in “Periodica” 68 (1979) pp. 720-721; J. HERVADA, Pensamientos de un canonista en la hora presente, Pamplona 1989, pp. 18-20.

10  E. CORECCO, L. GEROSA, Il diritto della Chiesa, Vol. 12 di AMATECA, Milano 1995, p. 59.

11  E. CORECCO, Voce Diritto, in “Dizionario Teologico Interdisciplinare”, Vol. I, Torino 1977, p. 146.

12  E. CORECCO, Il problema dell’unità del diritto nel pensiero filosofico antico e cristiano, o.c., p. 54.

13  Ibid., p. 54.

14  E. CORECCO, L. GEROSA, Il diritto della Chiesa, o.c., p. 60.

15  E. CORECCO, “Ordinatio Rationis” o “Ordinatio Fidei”?, o.c., pp. 67-68.

16  E. CORECCO, Orio Giacchi, in AA.VV., “L’insegnamento del diritto canonico nell’Università del Sacro Cuore dalle origini alla nuova codificazione”, estratto da “Jus – Rivista di scienze giuridiche” 39 (1992) p. 289.

17  E. CORECCO, Il problema dell’unità del diritto nel pensiero filosofico antico e cristiano, o.c., p. 54.

18  L. MÜLLER, Ordo ecclesiae. Fondazione teologica e teologia del diritto canonico secondo Eugenio Corecco, in AA.VV., “Antropologia…”, o.c., p. 112.

19  GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione in occasione della presentazione ufficiale del nuovo Codice (3.II.1983), in “Insegnamenti di Giovanni Paolo II” 6-1 (1983) p. 314.