Prefazione

PREFAZIONE

Lo scrittore Claudio Magris, in un suo articolo, sottolineava come “nella tradizione biblica, uno dei piu’ profondi attributi di Dio è quello di ricordare fino alla terza, quarta, alla centesima generazione”. Il nostro Dio è un Do che ricorda, vincendo quello che Nietzsche chiama il “terribile potere di annientamento della storia”. Dio ricorda , perché Dio è, e l’essere non puo’ che conservare in sé tutto cio’ che è stato, è e sarà. L’uomo purtroppo, che per sua natura è effimero e transuente, dimentica. Ricordare e partecipare in qualche modo all’essere di Dio, che non lascia cadere in dimenticanza nessuno dei suoi figli, ma tutti custodisce con amorosa attenzione nella pienezza del suo essere.
Ricordare diviene allora un’ atto di giustizia, perché vuol dire rendere a chi ci ha preceduto il riconoscimento di quello che ha operato e resta dentro la nostra storia, la nostra Chiesa e chiede di essere verificato, valutato, compreso continuato e superato. Infatti, cio’ che i nostri Predecessori hanno compiuto non è legato solo al loro  passato, bensi’  anche al nostro presente e continua ad esistere, e tocca a noi mantenerlo, farlo crescere o abbandonarlo.
Atto di giustizia, ma anche di amore, che ci aiuta a ricordare non per compiacenza , nemmeno per semplice nostalgia, ma per discernere il bene, e criticamente valutare quello che resta ancora valido e buono, utile e attuale.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte del Vescovo Eugenio Corecco, avvenuta l’1 marzo 1995. era il mercoledì delle Ceneri. Lo ricordo senza la pretesa di fare un discorso esaustivo, anche perché un sereno giudizio storico richiede un maggiore distacco nel tempo e il superamento di ogni convenzione retorica. In particolare intendo cogliere questi tre aspetti della sua ricca, poliedrica personalità: fu un uomo nuovo, un Vescovo nuovo;fu un Vescovo di fede forte ed esigente, con sé e con gli altri; inizio’ una pagina nuova che dobbiamo discernere per condurre a compimento.
Sappiamo che nella classicità latina l’Homo novus era colui che approdava alle supreme magistrature, non provenendo dalla cursus honorum, dalla trafila convezionale di servizio.
Credo si possa dire lo stesso del Vescovo Eugenio giunto all’episcopato per superiore decisione del pontefice romano, piu’ che per indicazione degli addetti alla designazione. La sua scelta, se no fu una sorpresa per tutti, fu da tutti sentita come una designazione che intendeva introdurre un elemento non solo di novità, ma addirittura di rottura nella vita di Diocesi. Uomo nuovo per la sua provenienza dagli studi universitari, ma soprattutto per le scelte personali, che ne avevano segnato in maniera originale e nuova la formazione e l’indirizzo ecclesiale. Uomo nuovo per quella sua adesione convinta ad un Movimento ecclesiale, che non gli fece mancare con l’entusiasmo dei suoi, le incomprensioni e le diffidenze degli altri. Uomo nuovo anche di fronte al servizio episcopale affrontato con intenso dinamismo innovativo per esperienze e proposte, avanzate con coraggio, parso a piu’ d’uno spesso temerario.
Non subito e non sempre fu capito questo Vescovo, che veniva dagli studi del diritto canonico e dalla cattedra universitaria, che aveva militato nel Movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, che si presentava sorprendentemente giovane, persino sbarazzino nell’atteggiamento non conformista, particolarmente attento ai giovani, vicino al bene della gente , non condizionato da steccati storici, inventivo nella ricerca del bene delle anime e nelle proprie proposte pastorali.
Eugenio Corecco, lo ripeto, fu un Vescovo di fede forte ed esigente con sé e con gli altri.
Siate forti nella fede, è il titolo del volume che raccoglie la memoria, le prime note biografiche, gli estratti piu’ significativi del suo magistero, le testimonianze di molti che l’hanno conosciuto.
Ma forti nella fede è anzitutto il titolo che dice il contenuto della sua prima Lettera pastorale, nella quale il cristiano viene invitato ad una scelta non di opportunismo, di abitudine, di tradizione, ma di responsabilità, di consapevolezza, di coscienza forte.
Il Cristianesimo non è una religione fatta da gesti dell’uomo, che propiziano la divinità, non è neppure un’etica che impegna in comportamenti moralistici moraleggianti.
Il Cristianesimo è una fede: una dimensione esistenziale di fondo, radicale, che risponde ad una Rivelazione, ad una grazia totale del dono di Dio che si fa uomo e cambia la storia dell’umanità, non perché noi facevamo qualcosa, ma perchè lui la visita e la trasforma dall’interno. Aderire a lui vuol dire ricevere il centuplo quaggiu’ ed avere la certezza della vita eterna.
Una fede, quella cristiana, radicale, esistenziale, che non si immiserisce nel moralismo del singolo atto, ma offre un orizzonte di fondo, uno slancio di base, una prospettiva globale, un’apertura infinita all’inquieto desiderio del cuore umano.
In una visione cosi’ fondamentale, puo’ essere sembrato talvolta che il Vescovo Eugenio non facesse abbastanza uso dei mezzi di mediazione, del metodo della mediazione, anche se non era per niente un primario, ma un secondario riflessivo. Ma anche nella sua azione pastorale aveva preponderanza lo slancio della novità, le intuizioni delle diversità, il coraggio della controtendenza rispetto a mode superficiali e riduttive. Una pastorale di testimonianza che esigeva novità di vita cristiana, attenzione alle persone prima che alle strutture o alle organizzazioni, ma al tempo stesso come il rilancio dell’Azione Cattolica, il ritorno del Seminario in Diocesi, la creazione della Facoltà di Teologia, ha saputo offrire strutture concrete e strumenti originali per affrontare le esigenze dei tempi futuri.
Mons. Eugenio Corecco inizio’ una pagina nuova nella storia della nostra Diocesi che tocca noi comprendere, valutare, portare a compimento. Essere custodi e testimoni della sua memoria non deve impedire di riconoscerne anche le incompletezze  e i limiti, le insufficienze e le carenze. Confrontarci con i ricordi dei nostri Vescovi vuol dire acquisire consapevolezza della complessità della storia e capacità di leggerla:” semplici come colombe, ma avveduti come serpenti” come vuole il Vangelo, consapevoli che nel rileggere il passato si è esposti all’inganno, alla manipolazione, all’adulazione, al servilismo.
Vera memoria è quella che accresce la nostra libertà di giudizio, di iniziativa, di autentica identità individuale e collettiva. Coltiviamo una memoria che produca libertà, che ci liberi dai pregiudizi quanto dalle adulazioni, dal nulla come dall’oblio o peggio dalla manipolazione.
Una memoria che, mentre è forgiatrice di libertà, edifichi comunione. “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Dobbiamo imparare ad accettarci diversi, a rispettarci complementari, a dialogare sereni, a praticare l’indispensabile mediazione per tradurre la fede in opere, che si incarnano in un tempo e in uno spazio ben precisi.
La prova della malattia, l’esemplare testimonianza nella sofferenza, la coraggiosa, intensa attività pastorale chiedono a noi di ringraziare il Signore per il dono di questo Vescovo, che ha voluto per la nostra Chiesa luganese.

PIER GIACOMO GRAMPA
Vescovo di lugano