1. Il matrimonio è per la famiglia

Introduzione al Congresso europeo “La famiglia alle soglie del II millennio”, Lugano 21-23 settembre 1994

In una singolare, ma rallegrante convergenza di vedute con l’ONU, che ha proclamato l’Anno Internazionale della Famiglia, la Chiesa cattolica, attraverso Papa Giovanni Paolo II, ha indicato il tema della famiglia come una delle tappe più importanti della nuova evangelizzazione, in vista del prossimo millennio.
L’attenzione internazionale, tuttavia, è stata paradossalmente monopolizzata, soprattutto in questi ultimi mesi, da altri problemi, come quello dell’aborto o dell’emancipazione femminile, venuti alla ribalta alla Conferenza del Cairo.
Con l’intento di rimanere fedeli al tema, dell’ONU e del Papa, sulla famiglia, l’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici, assieme alla Facoltà Teologica di Lugano, ha organizzato questo Congresso, nella speranza di dare un contributo ad una più precisa comprensione di questa istituzione originaria, assediata ormai da tante altre forme concorrenziali.
In questa prospettiva permettetemi di aprire il nostro Congresso con una breve riflessione.
Da quando, nel XII secolo, è prevalsa la tesi romanistica, sostenuta dalla Sorbona e recepita dal magistero papale contro quella di ascendenza germanica dell’Università di Bologna, secondo cui l’elemento costitutivo del matrimonio non è la copula, bensì il consenso, il pensiero cattolico ha costruito un monumento dottrinale e giuridico che ha quasi i tratti del capolavoro.
In questo secondo millennio della sua storia, la Chiesa ha concentrato l’attenzione legislativa e giurisprudenziale sui contenuti, le finalità e le proprietà del consenso matrimoniale, privilegiando così il matrimonio in fieri, vale a dire l’esame delle condizioni intrinseche ed estrinseche, psicologiche e legali dei coniugi, per contrarre validamente un matrimonio.
Anche il matrimonio in facto esse, in cui, dopo la dichiarazione del consenso sponsale, si sviluppa la famiglia, è sempre stato interpretato da una angolatura che mette in primo piano non il fatto sociale come tale, bensì le singole persone dei coniugi.
Pur secolarizzandone le valenze e sostituendo anche qualche contenuto fondamentale, come quello della indissolubilità con la scindibilità del vincolo, le codificazioni statuali moderne, a cominciare da quella di Napoleone, affascinate dall’impianto normativo canonico, l’hanno preso come modello di riferimento per regolare il matrimonio civile.
Negli ultimi decenni, tuttavia, la normativa statuale sul matrimonio nel mondo occidentale sta allontanandosi sempre più dal modello di riferimento canonico, per assumere come criterio non più il diritto naturale, nei confronti del quale lo stato moderno sente una sempre più grande estraneità, bensì il dato sociologico.
Lo stato moderno, soprattutto quello sociale, ha spostato le priorità. Non è preoccupato di approfondire la natura dell’istituzione del matrimonio in quanto tale, bensì di affrontare il problema della sicurezza e della parità giuridica e socio-economica di altre forme di convivenza umana o di responsabilità parentale, che possono avere parvenze di essere una famiglia.
Di fronte alla rapidissima e spesso stravolgente evoluzione sociale e giuridica in atto nella società civile, anche la Chiesa è chiamata ora, per fedeltà alla sua missione, a chinarsi con attenzione molto più grande, rispetto al passato, sul problema della famiglia in quanto tale, affrontando problematiche nuove e complesse. Tenendo conto del fatto che la famiglia è un’istituzione propria a tutta l’umanità, sia cristiana che non cristiana, la Chiesa, così come ha fatto formulando la propria dottrina sociale, interroga prima di tutto il diritto naturale, espressione della razionalità umana, anche se fosse sorretta dalla fede.
Nelle variegate e spesso penetranti definizioni della famiglia, utilizzate soprattutto dal più recente Magistero papale, emerge quest’ottica giusnaturalista, che potrebbe offrire un punto di convergenza per altre forze intellettuali e politiche della società civile, malgrado la evidente eterogeneità del discorso filosofico e antropologico sviluppatosi nell’età moderna.
Mi si permetta qualche esempio, preso dai documenti del Magistero: la famiglia “è la cellula vitale della società umana”; “il santuario della vita”, “la società primordiale e in un certo senso sovrana”; “l’istituzione fondamentale per la vita di ogni società”; “il primo ambiente umano per la formazione anche interiore dell’uomo”.
La Chiesa, oltre ad esprimersi sul terreno del diritto naturale, è tuttavia chiamata ad off r i re al mondo anche una riflessione più propriamente teologica e perciò profetica.
Ne consegue che essa deve capire prima di tutto cosa è la famiglia all’interno della sua stessa realtà soprannaturale e sociale.
La dottrina canonistica sul matrimonio in fieri o in facto esse e la teologia vera e propria del matrimonio, che sorprendentemente è iniziata, con grandi approfondimenti biblici e dogmatici, solo dopo la prima guerra mondiale, grazie al teologo tedesco M. J. Scheeben, sembrano, tuttavia, non più essere adeguate per affrontare il problema più ampio e complesso della famiglia in quanto tale. Si è trattato, infatti, di una teologia esclusivamente sacramentaria, che, nella linea di S. Paolo, concerneva primariamente le persone dei coniugi. Il nocciolo di questa teologia sta nella affermazione paolina, che, con la loro donazione reciproca e indissolubile, i coniugi cristiani sono chiamati a realizzare nella storia l’amore di Cristo per la Chiesa, per porre nel mondo un segno efficace della Nuova Alleanza.
Il Concilio Vaticano II ha lasciato intravedere una dimensione teologica più ampia, che esplicita comunque la prima. Ha affermato, pur nella precarietà della espressione, che la famiglia è «quasi una Chiesa domestica» (LG 11, 2). Ha così spostato il discorso dal livello sacramentale a quello della realtà sociale della Chiesa, cioè della ecclesiologia.
Il matrimonio non è solo un sacramento, che suggella l’amore personale dei coniugi e in questa finalità quasi si esaurisce, ma è anche una realtà che, sfociando nella famiglia, assume una dimensione socioecclesiale, anche indipendentemente dall’esistenza della prole.
Si tratta di capire cosa significhi che la famiglia è «quasi una Chiesa domestica». Siamo solo agli inizi di questa riflessione, ma alcuni elementi sembrano già delinearsi con chiarezza.
Non si può certo affermare che la famiglia cristiana sia la cellula costitutiva della Chiesa, così come vale per la società civile e per lo Stato.
A differenza della famiglia naturale o civile, dove la vita si trasmette con assoluta certezza, la famiglia cristiana non trasmette necessariamente la fede, poiché quest’ultima rimane sempre un dono gratuito di Dio, fatto ai singoli componenti.
La famiglia non è neppure il luogo in cui si realizza la Chiesa, allo stesso modo in cui la Chiesa universale si invera “nelle e dalle” Chiese particolari (LG, 31, 1); non è, infatti, un nucleo ecclesiale di persone, nel quale la Chiesa è presente con tutti i suoi elementi costitutivi.
La Ecclesia domestica, pur rendendo presente nella quotidianità della vita il segno efficace dell’amore di Cristo per la Chiesa, non è in grado, da sola, di realizzare né la struttura gerarchica della Chiesa, né la dimensione escatologica della stessa, garantita solo dalla pratica radicale dei consigli evangelici con la professione dei voti.
È vero, per contro, e questo è l’elemento fondamentale per il dibattito contemporaneo sulla famiglia, che la famiglia, nella unicità ed esclusività di forma che le è propria, è un’istituzione necessaria e imprescindibile per l’esistenza stessa della Chiesa, pur non essendone il nucleo allo stesso modo che lo è per lo Stato.
La Chiesa, infatti, non esisterebbe senza il sacramento del matrimonio. Non tanto perché il matrimonio è uno dei sette sacramenti istituiti da Cristo, ma perché il matrimonio, che genera la famiglia, è l’unico tra i sette sacramenti a non essere, come ha intuito San Tommaso d’Aquino, unsacramentum tantum. È, in effetti, l’unico tra i sacramenti che ha un precedente reale già esistente nella economia della creazione. Gli altri sacramenti del Nuovo Testamento (se si prescinde forse dal sacerdozio), non hanno, nel Vecchio Testamento o nella storia dell’umanità, una realtà che li precede: sono realtà nuove ed esclusive della economia della redenzione.
Secondo il libro della Genesi l’unione tra l’uomo e la donna è l’evento verso il quale è finalizzata tutta la creazione. Un evento che ha già una dimensione sacra in se stesso, essendo in grado di preannunciare il fatto che l’unione sponsale tra l’uomo e la donna, voluta esplicitamente da Dio creatore, prefigura l’amore di Cristo per la Chiesa.
Il matrimonio in facto esse, cioè la famiglia, è l’unico evento antecedente a Cristo che nella economia della redenzione non avrebbe potuto non diventare sacramento.
La restaurazione in Cristo della natura umana, corrotta dopo il peccato originale, implica in modo imprescindibile la restaurazione, attraverso il sacramento, della istituzione fondamentale verso la quale è finalizzata tutta la creazione dell’uomo e quella della donna, il cui rapporto sponsale è il centro della vicenda umana. «In principio», ha risposto infatti Gesù ai farisei, «non era così» (Mt. 16).
Ciò significa che già dal principio l’istituzione del matrimonio sfugge alla disponibilità dell’uomo, perché è stato posto in essere per diventare segno della incarnazione di Cristo e della redenzione.
Senza il matrimonio l’umanità sarebbe destinata ad estinguersi. Se il matrimonio non avesse assunto la forza e fficace del sacramento, la Chiesa rimarrebbe disincarnata dal mondo e in posizione estrinseca rispetto alla storia della umanità, poiché il sacramento del matrimonio rappresenta il punto di sutura tra la natura e la “sovranatura”.
L’elevazione del matrimonio a sacramento non può, perciò, essere intesa in modo volontaristico, come gesto che Cristo avrebbe potuto anche non compiere. Redimendo l’umanità Cristo ha redento anche l’unione sponsale tra l’uomo e la donna, cui è finalizzata tutta la creazione, conferendo al matrimonio garanzia assoluta di efficacia per la salvezza.
Poiché è l’evento umano in cui avviene la compenetrazione tra l’economia della creazione e quella della redenzione, il matrimonio tra i coniugi redenti dal battesimo assume inevitabilmente lo spessore salvifico del sacramento.
L’imprescindibilità, l’unicità e l’esclusività del sacramento del matrimonio in seno alla esperienza della Chiesa, come unica forma di rapporto spirituale e coniugale totale ed esclusivo tra l’uomo e la donna, è il patrimonio culturale che i cristiani oggi devono saper affermare di fronte all’umanità. Ciò non significa che possano esimersi dall’entrare in merito ai problemi legislativi attuali, che mirano a concedere la parità e la protezione giuridica ad altre forme parentali, o di convivenza, tra persone di sesso diverso o uguale. Convivenze che, non originando dal matrimonio, non possono essere omologate alla famiglia.
Si tratta di ricordare alla memoria dell’umanità il nocciolo del messaggio biblico ed evangelico. La Chiesa, infatti, non è una realtà sociale estrinseca al mondo, ma una realtà sociale immanente all’umanità stessa: una parte dell’umanità, che crede però di essere stata creata da Dio, ha la coscienza di essere stata restaurata e redenta dalla Incarnazione di Cristo e cerca di vivere e rendere plausibile a tutti gli uomini questo mistero di salvezza.
Rammentare, anche nelle riflessioni dottrinali socio-politiche, interreligiose e biotecniche, la collocazione centrale della famiglia nel disegno redentivo di Dio può certamente essere di grande aiuto per una sempre più precisa valutazione della sua natura, delle sue finalità e, perciò, della sua funzione ineliminabile in seno alla società umana.