4. Evangelizzare

Ritiro spirituale all’Azione Cattolica Giovani: 25-27 aprile 1992

La parola “Evangelizzazione” deve essere l’orizzonte all’interno dei quale ci muoviamo: è il compito della vita del Cristiano.
Compito che non si può ridurre a questa o quella iniziativa particolare ma deve dare il “senso della vita”, come era per i primi cristiani: altrimenti non coinvolge la nostra persona.
Intere generazioni hanno “evangelizzato” perché avevano capito che proprio in questo impegno consisteva la novità della loro esistenza. Erano una minoranza che si affermava diversa dagli altri, ma non hanno avuto paura, erano profondamente coscienti di dover cambiare il mondo annunciando la risurrezione di Cristo pur non avendo nessun potere, tagliati fuori come erano dalla società di allora e senza alcuna possibilità di favori esterni. Erano inseriti nell’infima fascia della società: ma sapevano benissimo di aver ricevuto da Cristo un mandato preciso:
«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15).
E avevano compreso che dovevano prima di tutto lasciarsi convertire dalla Parola di Dio.
Ora, dopo quasi duemila anni di storia, l’urgenza dell’evangelizzazione riemerge nella Chiesa, che si rende conto di come sia enorme la sproporzione tra coloro che credono in Gesù Cristo e coloro che non lo conoscono: sproporzione dovuta in gran parte all’esplosione demografica.
All’inizio dei secolo c’era un cristiano su tre, oggi uno su sei. Ci troviamo, più o meno, nella situazione iniziale della Chiesa.
Ci si accorge inoltre che la maggioranza dei cristiani è diventata debole nella fede e incoerente, in balia del mondo.  Specialmente in occidente si subisce profondamente l’influsso culturale non cristiano: è come se si assorbisse un modo di vivere che non ha più radici nel Vangelo.
Dobbiamo perciò prima imparare e poi operare in prospettiva della “nuova evangelizzazione”. Si tratta di essere e di vivere tenendo presente questa urgenza: nella famiglia, nella scuola, nei rapporti tra noi, nell’ambiente sociale: è il mandato che ci dà il Signore.
Quando mi trovai in ospedale per delle analisi, per tutto il giorno, tra un esame e l’altro, mi sono trovato solo: ho capito che lo spazio intorno a me si era incredibilmente ristretto e avevo l’impressione che nulla più potesse aiutarmi.  E’ stato allora che mi sono detto che se non avessi conosciuto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo mi sarei sentito smarrito, perché tutto quello che uno ha fatto e fa’ ha senso solo se gli ha permesso e gli permette di conoscere il Mistero. E se uno non lo sa, pur avendo realizzato molto nella vita, si ritrova “perso”.
Evangelizzare significa appunto voler far conoscere e riuscire a far conoscere all’uomo, alla gente, all’umanità l’esistenza del Padre, dei Figlio e dello Spirito Santo (penso alla prima domanda del catechismo), l’Unità e la Trinità di Dio, la Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, con tutte le conseguenze che tale conoscenza può avere per la vita umana. Da questo e non viceversa deriva tutto il resto.
1. Nella Lettera ai Colossesi (Col 3, 1-17) l’Apostolo ci dice che, se siamo stati battezzati, il Battesimo ci ha uniti a Cristo Risorto, ci fa membra dei suo corpo: e lo può capire chi ne fa l’esperienza quando prega o riceve la Comunione, comprendendo e vivendo il significato delle parole e del gesto. Siamo uniti al Cristo Risorto, non al Gesù che percorreva la Palestina, siamo in una comunione con Lui che ci porta alla resurrezione.
«… cercate le cose di lassù» (Col 3, 1): cercate cioè il Mistero in cui siete coinvolti. Cristo, assiso alla destra di Dio, inserendoci in sé ci colloca vicinissimi al Padre, nel mistero di Dio. Chiamandoci a pensare “alle cose di lassù e non a quelle della terra” (Col 3, 2), l’Apostolo ci dice che se non conosciamo “le cose di lassù”, l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Cristo sarebbero state inutili per la nostra persona e noi continueremmo a dare un senso alla vita in modo mondano, mentre il senso della nostra vita lo dobbiamo aprire nell’orizzonte della nuova evangelizzazione.
Segue, nella Lettera, una serie di precetti: la descrizione di come vive il cristiano. Dobbiamo capire che queste cose sono possibili solo se noi viviamo dentro la conoscenza del Mistero di Cristo: sono possibili solo con la forza che scaturisce dall’adesione a Gesù Cristo che ci possiede.
«Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra…  vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito l’uomo nuovo che si rinnova in una conoscenza superiore ad immagine dei suo creatore…»: questa vita nuova in Cristo è possibile se la persona è veramente presa dalla sua appartenenza a Gesù Cristo. Da soli non ne siamo capaci: dobbiamo andare alla radice perché è di lì che nasce in noi un modo diverso di giudicare e di vivere.6
C’è chi si spaventa quando sente questo discorso, perché si domanda come potrà riuscire. Prima di pensare ai poter o non poter riuscire, si tratta di accettare la necessità di quel cambiamento che avviene nel cristiano che si alimenta della convinzione di essere stato concepito nel mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: la persona così cambia, si evangelizza, diventa cioè conforme al Vangelo. Bisogna concepire e vivere la vita non come scelta di decisioni e di atteggiamenti, ma come adesione totale alla persona di Cristo Risorto. La vita consiste in questo rapporto con Lui, da questo, progressivamente scaturiscono le varie conseguenze che magari nemmeno sappiamo condurre fino in fondo. Non tutti infatti raggiungiamo la perfezione alla quale il Signore ci chiama.
La partecipazione ad un ritiro spirituale offre la possibilità di cogliere il punto dal quale partire, di migliorare la coscienza di sé, di scoprire l’importanza dell’incontro con Gesù così come è avvenuto nella propria vita, dell’incontro con Gesù comune a tutti e di chiedersi in che modo quest’incontro con Gesù sia stato accolto.
L’incontro con Gesù deve diventare determinante per noi: e lo diventa nella misura in cui ci abbandoniamo allo Spirito Santo per lasciarci guidare da lui. E’ un cammino da fare insieme, perché, come vi ho detto al “Cammino della Speranza” il Signore ha dato il suo mandato a coloro che lo avevano seguito, non individualmente. Da ciò, tra i Dodici è nata un’unità che continua coi Vescovi, i quali hanno in comune Io stesso mandato di evangelizzare.  Anche i cristiani hanno ricevuto il mandato in comu-ne, per cui l’unità tra voi, la solidarietà profonda, sono fondamentali per vivere l’esperienza cristiana. Ognuno deve realizzare questo mandato per se stesso ma non da solo. Attorno a Gesù, infatti, si è formata la comunità dei fedeli, la Chiesa, generata dalla sua persona, in cui sono annullate tutte le divisioni: «non c’è più né greco né giudeo…  », ma unicamente la nostra appartenenza a Cristo che va oltre la nostra individualità e che, rispettandola nella sua integrità, anzi esaltandola, tanto meglio la profila quanto più si integra dentro la comunione di tutti i cristiani.
Da un ritiro deve quindi nascere la coscienza di unità tra voi più forte di prima, oltre che una coscienza più profonda della vostra appartenenza a Gesù Cristo, da qui scaturisce poi un progressivo cambiamento nel modo di vivere, che fa del cristiano una persona diversa e nuova nei confronti di chi vive nel mondo.
Evangelizzare vuol dire tutto questo: e noi dobbiamo essere i primi a cambiare mentalità e vita per poter evangelizzare gli altri. Lo scopo della vita è viverla su questa base, cercando di diffondere attorno a noi e di comunicare agli altri tale atteggiamento.
Non abbiamo tempo da perdere, perché ciò che non avviene oggi non possiamo rinviano a domani. Dovete sentire l’importanza di questo momento di vocazione che non si può sprecare, perché è momento di grazia nel quale una persona decide cose grandi e inizia un cammino che la porta chissà dove, magari diritta alla santità. Vivete la vita il più intensamente possibile.
I Santi l’hanno vissuta con la massima intensità, con la più ricca carica spirituale, al di là di manifestazioni che possono piacere o meno. La santità si manifesta con volti diversi secondo la particolare spiritualità del tempo: ma tutti i Santi hanno in comune un’unità interiore e una tensione spirituale che ha reso fortissima e determinata la loro vita nel modo unitario più possibile. E questo è accessibile a tutti.
Nella sua citata lettera, San Paolo dà dei lineamenti di condotta morale. La nostra morale deriva dalla fede: se non viviamo di fede, non possiamo vivere moralmente. La gente ha l’impressione che la Chiesa domandi innanzitutto un comportamento morale, mentre il Signore ci chiede innanzitutto di aver fede in Lui. Solo di qui può nascere un comportamento morale. Comportamento morale che può avere e ha più o meno gravi deviazioni: la fede ci offre il sacramento della penitenza e ci ricupera. E’ il momento nel quale diciamo a Gesù Cristo «credo in Te ma sbaglio, sono debole perché ho poca fede».
Il primo peccato è non cercare Gesù Cristo, non approfondire la sua presenza nella nostra vita: è questo il “peccato originale” che genera la mancanza di unità nella nostra vita e dal quale tutto il resto deriva, provocando una degenerazione progressiva.
La condizione per lasciarci evangelizzare è prima di tutto ricevere in noi la Parola di Dio, vale a dire la persona di Cristo. Ma per aprirci alla Parola di Dio, alla persona di Cristo, bisogna mettere in atto un metodo che ci cambi.  Non è facile che la gente lo comprenda: ma è a questo che deve servire un ritiro spirituale, che non è valido soltanto per determinate persone, ma per ogni cristiano che voglia essere cristiano.
In voi quale rinuncia comporta impegnarvi in questo ritiro? Potreste essere altrove, impegnati in cose che potrebbero sembrarvi più importanti e più interessanti, ma siete qui per vivere giornate di vita piena e contenta, giornate felici. Non è forse la felicità che desideriamo nella nostra vita? Ma occorre trovare la strada per arrivare alla felicità e questa strada è appunto in una moralità che si attua progressivamente nella vita: è felice solo la persona che vive bene.

2. L’episodio, raccontato in Atti 3-4, della reazione degli anziani, dei sacerdoti rappresentanti del potere in quel momento in Palestina, rimane impresso nella gente. Di fronte alla franchezza di Pietro e di Giovanni, la reazione è quella di metterli a tacere. Il potere ha paura del fatto cristiano, perché potenzialmente cambia, non si piega alle sue leggi. I cristiani sono – devono essere – sempre i primi a sollevarsi di fronte alla dittatura, perché se uno crede veramente in Gesù Cristo si ribella, sente che ciò che conta è Cristo. In effetti, Pietro e Giovanni dicono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». (At 4,19-20)
Questa è parola che viene detta per la prima volta nella storia. Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini: questo il potere lo sa; ne ha fatto mille volte l’esperienza nel corso della storia, da quando questa frase, che ha cambiato la cultura, ha messo in dubbio che l’imperatore, il p o t e re, abbia il diritto di vita o di morte sui suoi sudditi.
Dopo il peccato originale è avvenuta questa involuzione:
l’uomo si è impadronito dell’uomo. E’ la tentazione di sempre: anche nei paesi democratici si cerca di far tacere chi afferma il primato di Dio, o comunque si cerca di stendere un velo di silenzio su tale voce perché disturba.
«Non possiamo tacere ciò che abbiamo visto e ascoltato »: è l’affermazione della priorità di Dio su tutte le cose.  E ciò che è capitato in quella circostanza si ripete continuamente, perché è la reazione del mondo di fronte al fatto cristiano.  Ve ne potete accorgere anche voi: ieri un ragazzo ha detto che a scuola lo disturbano perché va a Messa.
II mondo ci vuole tutti uguali, per poter meglio imporre la sua concezione di vita, la sua gestione della società.
II diverso disturba e il cristiano, inevitabilmente è diverso:
se non lo è ha perso la sua identità. E’ stato così sin dall’inizio: il mondo ha avuto paura che questa diversità si propagasse e facesse fallire la sua concezione di vita. II potere è anonimo, è la maggioranza, e detiene il potere economico che decide le sorti dell’umanità. Le grandi Società, cominciando dalla Fondazione Rockfeller, hanno finanziato tutte le “Sette” attive in America Latina, per trasformare il cristianesimo in un fatto innocuo. Le sette, infatti, non disturbano più, sono disincarnate dal mondo, invece il cristiano è dentro il mondo, è dentro la società.  II cristiano applica il principio dell’Incarnazione: come il Verbo si è fatto carne, così il cristiano deve diventare presenza nel mondo. La setta ha la caratteristica di sottrarsi a questa presenza per rifugiarsi nella preghiera disincarnata da una presenza. E’ questo che ha capito il potere, e ha finanziato le sette, indebolendo la forma più autentica del cristianesimo, che per sua natura finisce sempre col ribellarsi al potere. Gli apostoli l’hanno capito e l’hanno affermato come principio che progressivamente ha cambiato le sorti del mondo. II principe cristiano sapeva benissimo che non poteva assolutamente disporre della vita e della morte dei suoi sudditi, concezione che invece il potere pagano si portava ben radicata dentro. Dico questo per rendervi attenti alla situazione in cui, in modo più o meno esplicito ci troviamo. A volte la gente non vuol sentire parlare di certi argomenti perché disturbano. La gente non capisce cosa ha a che vedere la Persona di Cristo con la vita quotidiana, come se si trattasse di qualcosa che va bene in chiesa o in sagrestia e non oltre, perché disturba.  Anche noi, in fondo, ne siamo infastiditi, perché questa presenza contesta quella parte di mondanità, di naturalismo e secolarizzazione, di cui c’è ancora traccia nel nostro modo di vivere. Ieri un ragazzo ha detto che, almeno tra di noi, dovremmo parlare di Gesù Cristo come si parla di calcio. Questo perché la fede riempie la vita, dà contenuti anche alla conversazione. Dovete saper affrontare gli avvenimenti quotidiani a partire dalla fede, imparando ad assumere progressivamente uno stile di vita cristiano, perché c’è molta gente che se ascoltasse la parola giusta che fa sentire la verità, reagirebbe. Ancora ieri, un ragazzo ha detto che quando sente qui gli altri che testimoniano, si chiede perché anche lui non può provare. E se io dicono i ragazzi è vero, perché loro intuiscono cose grandissime e aiutano noi tutti a capire la verità. Infatti il Signore diceva: «Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). Ora “entrare nel regno dei cieli” significa entrare nella conoscenza dei Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel mondo della verità su Dio, nell’orizzonte della Rivelazione. E se una persona non è semplice nel cuore, non fa il passo dell’adesione ai contenuti della fede.

6 A Denver il Vescovo affermò: «La prima riflessione ci è proposta da S.  Paolo nella II lettera ai Corinzi, 5, 17: “Chi è in Cristo è una nuova creatura. Dobbiamo capire che significa questa frase. Se non comprendiamo questa parola e se questa parola non ci dice nulla, nella vita ci trascineremo a fare i cristiani in qualche modo, ma non saremo quali dobbiamo essere. Confonderemo l’essere cristiani con l’essere tolleranti, bravi ragazzi, ma non saremo cristiani, non avremo dentro dì noi quella specificità e quel tocco per cui chi ci avvicina si accorge: “Questo non è solo un bravo ragazzo, una brava ragazza; questo ha una personalità diversa; ha dentro di sé una umanità affascinante”
Perché i bravi ragazzi sono come quelli che ci sono dappertutto, che non vanno in prigione per la droga o altro, ma non hanno dentro niente che permetta di riconoscere che sono cristiani, che sono stati toccati veramente nella storia della loro persona dall’incontro con Gesù Cristo.  Il cristianesimo ci chiama a diventare nuove creature, persone diverse, che hanno dentro all’animo una risonanza, una luce e una forza che si trasmettono agli altri; chi incontra un cristiano veramente radicato nella fede capisce che qualcosa è capitato alla sua persona; qualcosa che “a me non è capitato, perché io non sono così”. “Chi è in Cristo è una nuova creatura”.
Chi è radicato in Cristo? Essere in Cristo vuol dire essere tralci vivi di Lui che è il ceppo; ricevere da Lui la linfa delle nostre energie spirituali e psicologiche, ricevere da Lui una vitalità nuova. La chiamata interiore la riceviamo da Lui. Solo se rispondiamo alla sua chiamata diventiamo creature nuove. Possiamo essere tutti bravissimi, ma dobbiamo diventare cristiani, il che è un’altra cosa.».(da Chi è in Cristo è una nuova creatura, Denver, 11  agosto 1993).