1. Chiesa, Stato e Società

Intervento al dibattito su “Stato e pluralismo sociale; il caso dei rapporti Stato-Chiesa: nuove realtà organizzato da “Coscienza Svizzera”, al Liceo di Lugano, 20 gennaio 1988

Vorrei prima di tutto fare una breve premessa al mio dire: pur non avendo alcuna pretesa di completezza e di sistematicità, le mie considerazioni, per molti versi alquanto frammentarie, si pongono ad un livello teorico e sono perciò di carattere strettamente dottrinale. Esse non riflettono alcuna volontà politica.
La politica – dicevano gli antichi – è l’arte del possibile. Oggi, parafrasandoli, potremmo dire che la politica è la scienza del possibile in una situazione sociale e culturale determinata, per cui ogni azione o discorso politico deve sempre essere commisurato a partire dal principio dell’opportunità, della proporzionalità e anche dell’efficacia in rapporto al bene comune generale. Il mio dire, invece, sarà puramente dottrinale, nel senso che esso vuole cogliere, sia pure in termini più illustrativi che analitici, la natura delle cose e dei valori in gioco, prescindendo completamente dai principi dell’opportunità e dell’efficacia operativa, per cui, per correttezza, volutamente in questa sede mi astengo dal prendere posizioni di natura politica.
In secondo luogo, prima di illustrare brevissimamente i presupposti teorici della situazione dei rapporti Chiesa-Stato nel Ticino, mi permetto di compiere una rapida sintesi storica, a mo’ di introduzione, delle principali evoluzioni di questi rapporti, in generale profondamente marcati, nella nostra cultura occidentale, a partire dai suoi stessi albori, da una concezione unitaria del rapporto tra fenomeno religioso ed organizzazione dello Stato.
La radice più profonda di questa concezione unitaria va cercata nella filosofia greca. Platone osservava che è più facile costruire una città sulle nuvole che uno Stato senza gli dèi. Questa affermazione ha un carattere teorico, ma è anche e soprattutto un’affermazione che constata un fatto, poiché tutte le culture pre-cristiane hanno vissuto in un regime di profonda compenetrazione e profonda unità tra l’organizzazione pubblica del potere, che oggi noi moderni chiamiamo Stato, e la religione. Il fatto religioso è parte integrante della organizzazione dello Stato, per cui non si può costruire la città senza gli dèi.
La prima disgiunzione tra la religione e l’organizzazione pubblica del potere, cioè lo Stato, è avvenuta ad opera del Cristianesimo, in forza del fatto che i cristiani dei primi secoli si ricordavano la frase di Cristo <<rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare>> (Mt 22, 21) (frase che implicava una distinzione tra i due poteri), e più ancora del principio formulato da San Pietro davanti al Sinedrio secondo cui “è più importante obbedire a Dio che agli uomini” (cfr. At 4, 19). È a partire da questi due principi di origine neotestamentaria che i cristiani hanno assunto, poco a poco, una posizione diversa delle altre religioni all’interno dell’Impero Romano, ed è in questa posizione radicalmente diversa dei cristiani che va cercata la ragione ultima per cui l’Impero ha perseguitato la Chiesa. La Chiesa non è stata perseguitata nei primi secoli perché l’imperatore Nerone era particolarmente cattivo o corrotto; l’Impero ha perseguitato i cristiani perché sentiva che essi si sottraevano alla pretesa assolutistica dello Stato romano.
Questa pretesa si concretizzava innanzitutto nel potere assoluto dell’Imperatore, teorizzato da Ulpiano nel principio secondo cui il principe è sciolto dalla legge (princeps legibus sulutus) e possiede perciò tutti i poteri; in secondo luogo questa pretesa assolutista si manifesta nel fatto che l’Impero romano cerca ovunque ed in tutti i campi di imporsi come l’orizzonte globale dei valori della vita umana.
Al di fuori di quello che l’Impero è capace di proporre come patrimonio culturale, politico e religioso, capacità simboleggiata dalla divinizzazione dell’Imperatore, non c’è possibilità di esistenza e non c’è neppure una trascendenza.
La frase di San Pietro “è più importante obbedire a Dio che agli uomini” si oppone all’esclusività di questo orizzonte e provoca indirettamente la persecuzione della Chiesa. Da allora è cominciata la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa in Occidente e in Oriente, una storia che ha visto lo Stato e la Chiesa obbligati continuamente a determinarsi nei loro rapporti reciproci.
E’ stata una storia molto travagliata, cangiante, costellata di prevaricazioni vicendevoli, anche se in un giudizio complessivo non mi sembra possibile negare come il tentativo più costante sia stato quello dello Stato di ingerirsi negli affari ecclesiali e di prendere in mano il potere della Chiesa.
L‘eccezione in senso contrario è durata solo ottant’anni sull’arco di quasi due millenni, quando nel tredicesimo secolo i Papi – da Gregorio IX a Bonifacio VIII – hanno non solo rivendicato teoricamente, ma praticato anche dal profilo politico, una supremazia politica ed una giurisdizione sullo Stato. Ma, tolto questo breve (seppur intenso!) periodo, la Chiesa è stata costantemente oggetto di ingerenze da parte dello Stato nel tentativo di porla sotto controllo. Un rapporto travagliato che nasce in termini giuridici dal fatto che la Chiesa rivendica l’esistenza di un diritto divino. Dapprima accanto al diritto romano – base della convivenza civile al tempo dell’Impero romano – poi accanto al diritto naturale, fondamento della convivenza civile del Medioevo e dell’epoca moderna fino adesso, ed infine accanto al diritto statuale moderno, così come è stato
teorizzato dai contemporanei, in particolare dal Kelsen, secondo cui il diritto ha la sua ragione in se stesso e non in valori che lo precedono. Accanto a queste tre forme di diritto in Occidente e in Oriente si è manifestata la presenza di un’altra forma di diritto, il diritto divino che rivendica un’indipendenza e un’insindacabilità da parte degli altri diritti. Il diritto divino non è di origine greca ma è di origine veterotestamentaria. E’ la tradizione ebraica che ha introdotto nella cultura occidentale la nozione di un diritto divino non prodotto dalla ragione come il diritto naturale o il diritto romano ma un diritto prodotto e creato dalla volontà di Dio.
La storia del rapporto fra Chiesa e Stato, oltre che travagliata, è stata cangiante poiché questo rapporto è complesso. Infatti, quantunque le finalità della Chiesa e dello Stato siano diverse, il soggetto di questo rapporto è unico: la persona umana. Nella persona umana è molto difficile distinguere tra il cittadino e il cristiano. Quello tra Chiesa e Stato risulta essere un rapporto non definibile in termini puramente astratti e teorici. Non è mai approdato a soluzioni definitive, perché cambiano costantemente i presupposti dottrinali, storici, culturali e istituzionali di questo rapporto sia nell’ambito dello Stato, sia nell’ambito della Chiesa. Comunque, dopo i primi tre secoli, in cui la Chiesa per sopravvivere ha dovuto organizzarsi sulla base delle associazioni private come quelle funerarie, la prima decisiva svolta è stata quella data da Costantino nel 312 con l’Editto di Tolleranza; la seconda, circa sessant’anni
dopo, provocata da Teodosio nel 380. Questi due imperatori hanno riconosciuto alla Chiesa cattolica, dapprima la parità giuridica con le altre religioni, tutte considerate
come appartenenti all’ambito dello Jus Sacrum e dunque, come tali, formanti non un settore del diritto privato romano ma del diritto pubblico; poi, dopo l’intervento di Teodosio, la superiorità della religione cattolica su tutte le altre. Quest’ultima, nella confessione cristologica formulata dal Concilio di Nicea, diventa così l’unica religione avente cittadinanza in seno allo Stato, a livello di diritto pubblico.
A partire da questo duplice momento si sono poste le basi per tutta la storia dell’Occidente. In fondo, ancora oggi e dopo molte evoluzioni, ci troviamo pressappoco in questa situazione. Infatti, almeno da noi, lo Stato riconosce le Chiese – questa volta non più solo la Chiesa cattolica ma anche le Chiese uscite dalla riforma protestante – e le riconosce come realtà di diritto pubblico. Fanno eccezione a questo sistema del mondo occidentale gli Stati Uniti, dove con la Costituzione deI 1789 è avvenuta una separazione ideologicamente neutra, tra Chiesa e Stato, e la Francia, dove all’inizio di questo secolo è avvenuta pure una separazione tra Chiesa e Stato, ma di natura totalmente diversa rispetto a quella degli Stati Uniti. Infatti, negli Stati Uniti la separazione è una forma di astensione da parte dello Stato in questioni religiose, pur professando lo Stato un forte interesse per il fatto religioso in quanto tale; la separazione francese è stata invece una separazione anticlericale ed ostile al fatto religioso. Ha costretto la Chiesa – in modo sottilmente persecutorio – a sopravvivere nascosta nell’ambito del diritto privato.
In Svizzera abbiamo due Cantoni dove vige il regime di separazione: Ginevra e Neuchâtel. Questi regimi furono però corretti in seguito. Pur conservando lo schema separatorio fondamentale, secondo cui le Chiese possono organizzarsi solo sulla base del diritto privato, questi due Cantoni le hanno riconosciute come realtà di interesse pubblico.
Per comprendere meglio le diverse sfaccettature di questo regime di base, dove da una parte c’e lo Stato, dall’altra c’è la Chiesa riconosciuta come entità di diritto pubblico o come ente con personalità di diritto pubblico, è molto importante prendere in considerazione un’altra svolta storicamente decisiva, quella avvenuta con la riforma protestante.
La Riforma protestante ha negato alla vera Chiesa, definita da Lutero come invisibile, cioè alla Chiesa della salvezza, quella cui appartengono solo le anime dei Santi, ogni rilevanza sociale, dichiarando la congregazione storica dei cristiani, cioè la Chiesa visibile, come semplice manifestazione esterna della prima. In altri termini, con la Riforma protestante la Chiesa esterna, l’organizzazione visibile dei cristiani, ha cessato di essere Chiesa nel senso forte e vero della parola ed è passata sotto la giurisdizione dello Stato. Dalla Riforma in poi è nato il regime vero e proprio di Chiesa di Stato. Un regime che ricalca lo schema dei regimi pre-cristiani. La Chiesa diventa un dipartimento, un settore dell’amministrazione statale.
Nei secoli dell’Illuminismo avviene un ulteriore sviluppo.La Chiesa visibile viene considerata alla stregua – ed è tollerata anche solo per quello – di una grande scuola, una scuola il cui scopo è quello di educare i cristiani anche ad essere buoni cittadini. L’illuminismo ha visto tutta la realtà ecclesiastica da questo profilo, per cui concepisce la Chiesa come una grande scuola, e abbiamo così i Dipartimenti – come per esempio nei Cantoni svizzeri – della Cultura e del Culto, oppure della Scuola e del Culto.
Negli Stati cattolici questa operazione non è stata possibile, perché il cattolicesimo ha sempre riconosciuto la Chiesa come realtà prestatuale. I Cantoni originariamente cattolici hanno così continuato a riconoscere la Chiesa come entità di diritto pubblico, ma per osmosi con gli Stati protestanti, ha preso corpo anche nei loro ordinamenti giuridici una fortissima ingerenza negli affari ecclesiastici, che si è manifestata nella sua forma più paradigmatica con il Giuseppinismo. L’Imperatore Giuseppe II, soprannominato imperatore sacrestano, ha per esempio soppresso 3000 conventi di vita contemplativa, ritenuti inutili dal profilo della educazione del popolo, mentre ha riformato gli ordini e le congregazioni attive, ritenuti utili alla società.
Dopo la riforma protestante e sotto l’influenza dell’illuminismo la posizione degli Stati nei confronti delle Chiese si diversifica, proprio perché la Chiesa cattolica e quelle protestanti si erano diversificate tra di loro e nella loro posizione nei confronti dello Stato.
Con la Rivoluzione liberale del 1848 è avvenuta una disgiunzione tra Chiesa e Stato in campo protestante. Cessa teoricamente il regime della Chiesa di Stato. Viene sostituito con un regime di giurisdizionalismo moderato. Tra lo Stato e la Chiesa viene inserito un corpo intermedio, e cioè una specie di ente parastatale, la cui funzione è quella di esercitare a1cune competenze della Chiesa fissate dalle leggi dello Stato. Lo Stato protestante dà così alle Chiese una Costituzione democratica, in sintonia con i principi costituzionali generali.
Anche in campo cattolico, a partire dal ‘48, è avvenuto un processo analogo: lo Stato continua a riconoscere la Chiesa in quanto tale, cioè come ente di diritto canonico, ma crea a sua volta tra la Chiesa e se stesso un corpo intermedio: a livello parrocchiale sono i nostri Consigli parrocchiali e Assemblee parrocchiali, a livello cantonale la Chiesa cantonale. Si tratta di un corpo di diritto pubblico statuale incaricato di filtrare il rapporto Chiesa/Stato.
Nel Ticino sostanzialmente siamo a questo punto dello sviluppo: esiste un tradizionale riconoscimento della Chiesa in quanto tale, implicito nelle Costituzioni del Cantone, ribadito dalla Legge sulla liberta della Chiesa del 1886, e garantito ora dalla Costituzione (art. 1) – ma continua ad esistere il corpo intermedio, introdotto come entità di diritto pubblico dalla legge del 1886 a livello solo locale, cioè parrocchiale. Esiste dunque un duplice riconoscimento della pubblicità della Chiesa: un riconoscimento diretto di natura costituzionale ed uno indiretto attraverso la creazione della corporazione parrocchiale istituita dallo Stato, alla quale lo Stato ha attribuito lo statuto di ente di diritto pubblico1.
Concludendo va infine ricordato come il rapporto Chiesa/Stato è sempre stato trattato, da Costantino in poi, a livello di vertici. Il potere secolare, statale o laico, è stato protagonizzato dall’Imperatore o dai governi democratici e il potere spirituale o ecclesiale dal Papa. In questi ultimi decenni però, sono avvenuti dei profondi cambia menti: nell’organizzazione giuridica dello Stato, perché all’idea hegeliana di Stato assolutista che si considera quale personificazione della società, è subentrata l’idea di uno Stato pluralista, cioè il modello dello Stato moderno liberale. Questa nuova immagine di Stato ha cambiato il rapporto, almeno a livello dottrinale, con la società. Lo Stato non si lascia più raffigurare come l’ipostatizzazione della società, ma solo come organo incaricato della gestione del potere pubblico. Da un’idea statica, o se si vuole ontologica, si è passato ad un’idea funzionale o pragmatica di Stato.
All’interno della Chiesa è pure avvenuto un profondo cambiamento, perché anche la Chiesa ha riconosciuto, con il Concilio Vaticano II, la liberta di coscienza. Ciò significa che non è più possibile gestire il rapporto Chiesa/Stato solo al vertice. Grazie al principio della liberta di coscienza il soggetto di riferimento è diventata la persona umana, titolare insostituibile dello stesso.
Per queste ragioni credo che qualsiasi operazione si voglia fare oggi nel settore dei rapporti tra Chiesa e Stato, fino a livello della sua concretizzazione normativa, non si può più prescindere da questo dato fondamentale. Non si tratta più di gestire al vertice due poteri diversi, ma di riconoscere la persona umana con tutte le sue esigenze, quale punto di convergenza, cui tutte e due le ipotesi devono costantemente riferirsi. Questo punto di riferimento non è solo il cittadino – ed è questa l’ultima precisione che voglio fare – ma la persona umana, perché la nozione di cittadino, utilizzata dalla Rivoluzione francese per realizzare l’uguaglianza di fronte alla legge, costituisce una riduzione rispetto alla nozione di uomo. La persona umana è una realtà più grande rispetto alla nozione di cittadino.
Nello schema nazionalista-occidentale, la persona umana conta meno deI cittadino. Lo straniero, per fare un solo esempio, è uomo, ma non è cittadino; non ha diritti all’interno dello Stato, o ha minori diritti, e ciò rappresenta a livello dei valori una riduzione – la cui radice culturale è nota, ma complessa da spiegare in questo breve spazio di tempo. Questo esempio è sufficiente per evidenziare la necessità di porre il rapporto Chiesa/Stato, ma anche quello Stato-uomo, non più solo esclusivamente a livello della figura giuridica del cittadino, ma cercando di cogliere nel cittadino stesso la radice ultima del suo essere che è la persona umana. Allora si potrà immaginare un rapporto tra Chiesa e Stato molto più liberante per l’uomo, per la persona, di quanto non lo è stato per il passato e di quanto non lo sia attualmente anche nel nostro Paese.