6. Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella chiesa e nella società Aspetti metodologici della questione

1. Premessa

Un congresso internazionale di canonisti, che si celebra periodicamente non può esimersi dal rispondere alla questione centrale che agita il mondo canonistico. Se lo facesse si sottrarrebbe alla sua funzione e responsabilità più propria, che non può ridursi a semplice stimolazione scientifica, ma impone il tentativo di individuare orientamenti per il futuro.
La questione centrale può essere sinteticamente formulata nel seguente modo: dove si colloca oggi, nello sviluppo storico della scienza canonistica (la cui data convenzionale di nascita risale a quella, non ben accertata, di pubblicazione del Decretum Gratiani) il nostro quotidiano lavoro? Quale presa di coscienza domanda la Chiesa alla scienza canonistica alla vigilia della nuova codificazione e forse della promulgazione della LEF?
Lo statuto dei diritti fondamentali, di estrazione culturale extra-ecclesiale, è caratterizzato, come hanno ampiamente dimostrato in questa sedePedro Lombardìa 1 e Cesare Mirabelli 2 , da una multiforme e spesso incerta problematica. Essa è venuta, all’improvviso, a porsi nel cuore stesso dell’ecclesiologia delle tre grandi confessioni e non potrà essere accolta, dal legislatore e dalla canonistica, senza provocare una riflessione più ampia sulla natura del diritto canonico e sul metodo del suo approccio scientifico.
Il canonista o l’ecclesiasticista che insegna da una cattedra ecclesiastica o statale, l’operatore giuridico che applica la norma in sede operativa o il libero professionista, svolge un compito che in modo più o meno diretto obbedisce ad una vocazione di servizio ecclesiale. La preoccupazione che gli strumenti scientifici di cui dispone siano adeguati al bisogno emerso dal Vaticano II, di scoprire e riformulare più precisamente l’identità della Chiesa ad intra ed ad extra, dovrebbe essere quella prevalente su quelle di scuola, ma anche su quella del significato della presenza del diritto canonico nelle università laiche, dove il servizio è diviso tra il bisogno culturale dello Stato moderno e quello della Chiesa.

2. Le tappe di sviluppo della teologia dogmatica

La teologia dogmatica ha già fatto o sta facendo un profondo esame di coscienza. A nessuno di noi è sfuggita, in questi ultimi decenni, l’ampia discussione in corso sulla sua natura scientifica e istituzionale. Il carattere scientifico della teologia, il rapporto teologia e scienze umane, il rapporto teologia e magistero, lo statuto del teologo nella Chiesa sono i temi più ricorrenti di questa vastissima revisione scientifica e culturale in atto nella Chiesa. Anzi la teologia ha già compiuto una considerevole riflessione critica anche sulla propria storia, cosa che la canonistica non ha ancora fatto, almeno con la determinazione necessaria a ricavarne indicazioni metodologiche per il proprio lavoro scientifico.
L’analisi dei grandi metodi storici di approccio teologico al mistero della salvezza in Cristo, ha permesso alla teologia di dare un giudizio critico sulla loro capacità e incapacità ermeneutiche. Non vorrei affermare che questo lavoro di autocritica abbia già permesso alla teologia moderna – emancipatasi dagli schemi tradizionali dopo il Vaticano II, ma le cui radici di rinnovamento affondano in epoche più lontane e diverse -, di trovare un orientamento omogeneo tale da permettere una sintesi nuova. Tuttavia è evidente che questa presa di coscienza critica della propria metodologia è di estrema importanza per il futuro.
Quattro sono le tappe principali di questo sviluppo, che non sono senza parallelismi positivi e negativi con lo sviluppo avvenuto nella canonistica.
La prima è quella della teologia patristica gnostico-sapienziale: essa non è speculativa, ma esistenziale e tende ad una conoscenza globale del mistero in cui intervengono affetto, volontà, concetto, raziocinio, interesse e prassi 3 .
Cerca di dare una risposta globale al significato dell’esistenza concreta dell’uomo, ma è fragile nell’elaborazione ontologica e metafisica del dato rivelato perché sostenuta solo su un eclettismo filosofico di estrazione neoplatonica, non sempre in armonia con la logica del pensiero cristiano.
La seconda tappa è quella della scolastica per la quale il lavoro teologico consiste nel cercare di inserire e interpretare il dato rivelato negli schemi concettuali e nella concezione di scienza aristotelica. I suoi limiti sono l’eccessiva ontologizzazione, l’astrazione concettualistica e deduttivamente astorica oltre che l’incapacità di dare – a partire dai diversi gradi e modi dell’essere in, cui la verità rivelata è catalogata – una risposta ai bisogni concreti della liturgia, della mistica, alle esigenze operative concrete della pastorale. Questa incapacità ha senza dubbio provocato la separazione strutturale e metodologica del diritto canonico dalla teologia, consumata in Graziano.
Superando le diverse variazioni subite dal metodo scolastico di base con l’intervento dell’elemento religioso francescano, sacrale e volontarista, e quelle della seconda scolastica spagnola più intimisticamente rivolta verso i problemi morali dell’uomo, la teologia produce un terzo modello, quello del metodo positivo-apologetico. Alla quaestiosi sostituisce la thesis dove predomina la preoccupazione della prova razionale e controversista – spesso in funzione anti-protestante, dei dati offerti dall’insegnamento del magistero ufficiale della Chiesa, il cui intervento è sempre più capillare e autoritativo.
La tesi è formulata a partire dai documenti del magistero – stilizzati in seguito nel Denzinger -; si indicano gli avversari, per passare alla prova ex scriptura, ex traditione e ex ratione theologica; si confutano eventuali obiezioni e si aggiunge qualchescholion pietatis. Venuta a mancare la forza creativa della metafisica scolastica nelle riduzioni di questo modello sostanzialmente apologetico – che però si era sforzato, nel manuale, di assumere dalle scienze umane moderne il metodo filologico, storico, critico, il senso del divenire storico -, la teologia si è rivelata incapace di proporre la fede con categorie adatte alla cultura del mondo moderno. Ha lasciato irrisolti anche problemi posti dai nuovi fermenti emersi all’interno della teologia stessa, come quello della scuola di Tubinga e quelli del modernismo.
La teologia nata attorno al Vaticano II rappresenta la quarta tappa. È caratterizzata da spunti diversi ma soprattutto da un forte interesse per l’antropologia, rivela aspetti intellettualistici, è vicina alla patristica per certe sue inclinazioni sapienziali, ma senza dubbio, più ancora della patristica è cedente metodologicamente – e spesso sul fondo – a livello filosofico, rispetto alle molteplici tendenze in cui la filosofia moderna si è disgregata. Diventando spesso effimera, assume con troppa disinvoltura le metodologie immanentiste delle scienze umane. I tentativi sono più che lodevoli, ma la crisi metodologica è diventata troppo evidente, soprattutto se confrontata con il recente magistero di Paolo VI, nella sua ultima fase, e con quello diGiovanni Paolo II che si sforza di ridare alla teologia la coscienza di possedere una forza autonoma e primaria di ermeneutica del mistero cristiano.

3. Le tappe di sviluppo della canonistica

Anche in diritto canonico si possono distinguere quattro fasi cui corrispondono quattro diversi modelli.
Il canone o la decretale dei primi secoli hanno, come la teologia patristica, carattere prevalentemente sapienziale. Tendono a risolvere i problemi concreti della Chiesa senza la pretesa di essere l’espressione di un sistema organico, concettualmente elaborato. Subiscono, senza grossi complessi, inflessioni imposte dal diritto romano o dal diritto germanico, secondo i diversi momenti e le diverse situazioni geografiche. Nel primo medioevo si trasformano spesso in capitolari, ma, nella loro funzione originale, le norme canoniche hanno solo la pretesa di tradurre operativamente, nella vita concreta della disciplina ecclesiale, l’immagine teologica che la Chiesa ha del mistero della incarnazione e della esperienza ascetica del cristiano.
I monumenti storici di questo diritto sapienziale sono le raccolte greche e latine che ci sono pervenute, mentre monumento ancora vivente e operante sono i 102 canoni del Concilio Trullano, che rappresentano, ancora oggi, il nucleo della disciplina canonistica orientale.
Per comprendere i limiti di questa produzione legislativa frammentaria, che raramente trova un riconoscimento universale e di conseguenza non può generare una riflessione teorica, non bisogna dimenticare che il regime costituzionale della Chiesa è quello di una comunione di Chiese, più che di una Chiesa comune universale 4 . Rudolf Sohm ha forse giustamente definito questo diritto canonico come diritto sacramentale perché non ha la preoccupazione di adeguarsi al modello culturale del diritto secolare 5 .
Il sorgere di questa preoccupazione culturale e il bisogno di trovare un’identità scientifica propria e autonoma rispetto alla riflessione ontologico-metafisica ma troppo astratta della scolastica, ha fatto nascere, con Graziano, la scienza del diritto canonico. La distinzione metodologico-sistematica del diritto canonico dalla teologia permette e favorisce un confronto più stretto con la metodologia specifica del diritto romano, rifiorito a Bologna e recepito in tutta Europa. 6
L’elaborazione concettuale del diritto canonico si stacca da quella ontologico-metafisica fondata sulla ragione teorica della scolastica. Essa si basa infatti sul raziocinio e sul sillogismo della ragione pratica, in stretta dipendenza reciproca dal diritto romano e permette al ius canonicum, coltivato ormai solo dai latini, di assurgere a scienza generale del diritto, riconosciuta in tutta la cristianità.
Il diritto canonico ha l’autorità di un diritto comune che ordina indistintamente, come ha giustamente osservato Pirson, rapporti giuridici ecclesiali e secolari. Non è il contenuto che diversifica le due scienze, ma la loro fonte legislativa. Il diritto canonico appare di conseguenza come ramo di un ordinamento giuridico universale, che partendo da un’unica e medesima nozione formale di diritto – quella elaborata dalla filosofia scolastica – è capace di dare una risposta a qualsiasi problema di giustizia materiale, ecclesiale e secolare 7 .
Era inevitabile che questa stretta simbiosi scientifica con il diritto secolare impedisse alla canonistica di mediare una conoscenza in profondità del mistero della Chiesa. Ne è prova il fatto che né la canonistica né la scolastica hanno saputo cogliere la specificità ecclesiale del diritto canonico. Neppure San Tommaso, cui pure va il merito di aver perfezionato l’unità ontologica del diritto nella trilogia – di estrazione storico-ciceroniana -, lex aeterna, lex naturalis e lex humana, è giunto a tale risultato 8 . Infatti il concetto di ius humanum è usato per lo più dall’Aquinate indistintamente per il diritto promulgato dai principi e dai prelati.
Dovranno passare tre secoli prima che Francisco Suarez possa porre chiaramente la questione dell’identità specifica del diritto canonico rispetto a quello secolare 9 . Ormai però la creatività del legislatore canonico si è già spenta e la scienza canonistica ha già visto sfiorire il suo secolo d’oro.
La terza fase della evoluzione storica coincide con il notevole sviluppo scientifico della canonistica, registratosi nell’era moderna dal diritto pubblico, che prima aveva sempre subito la indiscussa supremazia culturale e scientifica del ius civile. La nuova scienza parallela allo ius publicum, in campo ecclesiale, è lo IPE.
Esso nasce come diritto confessionale e il suo compito primario, identicamente a quello della teologia positiva, è di natura apologetica. La visibilità istituzionale della Chiesa cattolica e il suo diritto di cittadinanza come societas perfecta diventano i capisaldi di una vera e propria battaglia contro il protestantesimo da una parte, e lo Stato assolutista e secolarizzato dall’altra. I princìpi gius-naturalisti della territorialità e della sovranità rompono definitivamente l’unità politica del mondo medioevale, già compromessa del resto nella rottura dell’unità religiosa 10.
Non intendo soffermarmi sull’analisi dell’IPE come nuova disciplina della scienza canonistica, poiché molti giudizi, dopo i lavori di Alberto De la Hera 11 , Fogliasso 12 e recentemente anche di Joseph Listl13 , sono diventati di patrimonio comune. Mi limito ad osservare che lo IPE è una scienza che, a differenza di quella canonistica medioevale, non ha trovato una traduzione legislativa proprio per la sua fragilità ecclesiologica intrinseca. Ha trovato invece la sua applicazione operativa a livello concordatario. Il CIC ne ha assunto alcuni elementi, ma in sostanza ha codificato il diritto canonico classico, riformato nei suoi contenuti, più che nella sua impostazione di fondo, dal Concilio di Trento.
Se ha contribuito in modo decisivo a salvare lalibertas ecclesiae dall’assolutismo statale moderno, lo IPE non è stato assolutamente in grado, sempre per la sua sfocatura teologico-metodologica, di dare una risposta alla questione fondamentale della natura del diritto canonico posta da Lutero, radicalizzata da Rudolf Sohm e ampiamente dibattuta dalla recente canonistica protestante 14.
Uno dei risultati apparentemente più paradossali del Vaticano II, la cui sottile vena anti-giuridica avrebbe potuto far prevedere ben altri sviluppi, è stato quello di provocare un’abbondantissima produzione legislativa nella Chiesa universale e nelle Chiese particolari, oltre ad una ripresa della politica concordataria. Questo fenomeno, forse inatteso, ma inevitabile e ricorrente dopo ogni grande Concilio ecumenico, è stato accompagnato anche da una vivace ripresa della scienza canonistica.
Il fatto di cui dobbiamo prendere coscienza oggi, per non cedere all’illusione di poter continuare sulla spinta di inerzia del passato, è che si sta delineando una nuova scienza canonistica. Anche la canonistica – come la teologia speculativa – è entrata nel suo quarto periodo storico, dopo quello sapienziale-sacramentale, quello classico medioevale e quello post-tridentino dell’IPE 15 , sfociando, come per tratti successivi di una stessa linea direttrice, in modelli canonistici di grande interesse giuridico e culturale negli ultimi 50 anni che però non ne hanno modificato i parametri metodologici 16 .
Il magistero ha preso tempestivamente atto di questa svolta radicale della canonistica e non ha mancato di favorirla con ripetuti interventi, nei quali ha esortato non solo a stabilire un nesso stringente tra la teologia e il diritto, ma anche ad elaborare una vera e propria teologia del diritto canonico 17 . Come Antonio Rouco Varela ha sottolineato in questa sede 18, la teologia del diritto canonico in quanto tale deve essere considerata come disciplina particolare dell’ecclesiologia.
Ne consegue tuttavia che anche quella parte della scienza canonistica, che non si occupa direttamente della formazione teologica del diritto ecclesiale ma della elaborazione sistematica dei suoi contenuti materiali, appartiene, come scienza, alla scienza teologica.
Questa affermazione incontra ancora molte resistenze. Un certo settore della canonistica teme di perdere, accogliendo tale affermazione con tutte le conseguenze, la propria legittimazione scientifico-istituzionale, soprattutto se insegna in una università laica. Non voglio aprire quest’ultimo aspetto del problema, benché meriterebbe grande attenzione, poiché molto più urgente è affrontare la questione sostanziale sopra esposta; quella del significato del concetto di scienza giuridica e discienza teologica.
Come ha ben mostrato Chenu 19 , le coordinate del problema per quanto concerne la teologia risalgono a Boezio, passano da San Tommaso per riprendere nelle discussioni più recenti. Mi sforzerò di semplificare i termini del problema sollevato daLadislas Örsy 20, esponendolo nei suoi dati elementari.

4. Scienza teologica e scienza giuridica

La tradizione scolastica, mai ricusata dalla scienza canonistica moderna, ha sostenuto che la ragione da cui la legge, sia nella valenza di norma morale che in quella di norma giuridica, dipende, è la ragion pratica. S. Tommaso in particolare ha sviluppato articolatamente questa dottrina, riprendendo la formulazione aristotelica, fin dal Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo 21
Ma per Tommaso e la scolastica ciò non indicava in alcun modo l’esclusione dalla teologia, delle scienze dipendenti dalla ragion pratica. Basti pensare ai fondamenti, squisitamente teologici, della trattazione tomista del tema della legge e del diritto nella Summa Theologiae 22 . Per Tommaso, ma anche per tutta la seconda scolastica, la trattazione di questi temi è parte integrante della scienza teologica 23 . Infatti la ragion pratica non è mai concepita dalla scolastica come a sé stante, ma solo in precisa relazione con la ragione speculativa. Se è vero poi che la ragione speculativa è considerata, da Tommaso, come la più nobile, perché è per se stessa, è anche vero che essa si mantiene sempre strettamente correlata alla ragion pratica, dal momento che la ragione speculativa indica a quella pratica, a quale grado di perfezione quest’ultima debba condurre l’uomo, attraverso la legge 24 .
Quindi, a ben vedere, è l’intero dinamismo della ragione, fatto di dimensione speculativa e pratica, ad entrare in gioco, coniugato alla volontà, nella formulazione della legge e per ciò stesso nella costruzione della scienza (teologica) della legge. È quindi del tutto superficiale e debitrice a quegli aspetti della filosofia moderna che riducono la ragione a pura ragione strumentale, la posizione di chi afferma che la scienza giuridica non può mai rientrare nella sfera della teologia (come è il caso della canonistica), perché la teologia sarebbe il frutto della ragione speculativa, mentre ogni scienza giuridica deriverebbe dalla ragion pratica 25 .
D’altra parte anche la logica formale del raziocinio o del sillogismo in quanto tale non è necessariamente diversa nelle due scienze, poiché la logica – o le diverse logiche – per loro natura sono universali. Non c’è chi sostiene che la giustizia possa oggi essere realizzata attraverso l’applicazione al computer della logica matematica?
Per contro il giurista occidentale – ma molto meno quello anglosassone, come ha sottolineato la relazione di Germain Lesage 26 – non usa della conoscenza simbolica che invece ha predominato nella patristica e caratterizza tutt’ora il metodo teologico orientale, che a differenza della teologia latina e scolastica non è stato marcato dall’influsso culturale del diritto romano. La differenza tra le due scienze, teologica e giuridica, nasce invece dal diverso oggetto formale e materiale.
Per definizione il giurista – cultore di una scienza umana non teologica – usa come unico strumento di conoscenza la ragione e si occupa di un oggetto, il diritto secolare in genere, di origine e natura umana. È positivista solo se crede, con Hegel, che lo Stato sia l’unica fonte del diritto 27. Non è positivista se ammette l’esistenza di norme universali etiche o giuridiche emergenti razionalmente dalla struttura intrinseca della natura creata da Dio, precedenti ogni forma di organizzazione della convivenza civile.
Per definizione il teologo usa come criterio ultimo di conoscenza la fede e si occupa di un oggetto non naturale, ma rivelato. Nel nostro caso il canonista si occupa del diritto divino rivelato e del diritto umano, che per essere autentico dovrebbe sempre essere un’emanazione più o meno mediata del diritto divino positivo.
L’unità ontologica tra diritto divino e umano, con o senza la mediazione del diritto naturale, è uno dei principali fondamenti di tutta la teologia cattolica daSant’Agostino in poi 28 . Il ritorno della teologia moderna, almeno in certi suoi settori, ad un tipo di conoscenza sapienziale, ha inoltre messo in evidenza che la fede, se non è vissuta realmente come criterio pratico di vita, si rivela ultimamente anche incapace di svolgere un ruolo reale come strumento conoscitivo e di giudizio 29 .
Tralascio qui intenzionalmente il problema del rapporto fede vissuta e giudizio di fede. Chi è allora il canonista? Il canonista si contrappone al giurista perché è teologo, in quanto opera in forza dellafides qua e della fides quae creditur. Si distingue dal teologo sistematico poiché il suo oggetto materiale di conoscenza non è il mistero cristiano nella sua globalità, bensì le implicazioni istituzionali dello stesso, vale a dire il ius divinum positivum da cui deriva il ius humanum canonicum.
Il canonista si occupa di una realtà che nella cultura umana universale ha preso il nome di diritto (invece che di etica o di arte), ma che all’interno del mistero della salvezza ha assunto una natura diversa rispetto al diritto secolare e allo stesso ius divinum naturale della tradizione filosofica cristiana che, giova ricordarlo come ha fatto Pedro Lombardia 30, non è il diritto naturale dello stato di giustizia originale, ma quello dello stato di natura dopo il peccato. Infatti, il diritto canonico non si occupa della giustizia degli uomini, ma della giustizia di Dio, della giustizia rivelata che si manifesta, come ha mostrato Jean Beyer, nella Communio cum Deo et hominibus 31 .
Che rapporto esiste tra la giustizia umana e quella rivelata o ecclesiale? È lo stesso di quello esistente tra la natura e la soprannatura, tra la ragione e la fede, ma di questo parleremo più avanti a proposito dell’applicabilità dei diritti fondamentali dell’uomo nell’ambito del diritto ecclesiale.
Ogni canonista che accetta questi due presupposti gnoseologici, la fede come oggetto formale quo e la fede come oggetto formale quod, per dirla con il linguaggio degli scolastici, svolge nella Chiesa il servizio teologale di iuris-consultus. A livello teorico i termini della questione sono semplici e probabilmente ammessi da tutti. Il problema è piuttosto quello di saperne fare un’applicazione pratica coerente. Come il teologo sistematico o il moralista possono lasciarsi determinare nella loro ricerca dai dati offerti dalle scienze umane più che da quelli offerti dalla fede, compromettendo in tal modo il giudizio finale, così anche il canonista può lasciarsi determinare, magari inconsapevolmente, dai principi ultimi della giustizia umana più che da quelli della giustizia di Dio, diventata istituzione della Chiesa. Esistono in effetti diversi accenti nel modo di coltivare la scienza del diritto canonico. Di ciò dobbiamo tenere conto, ma dobbiamo anche riconoscere che esistono punti fermi qualificanti.
La svolta in atto oggi nella scienza canonistica domanda di sapere usare un’applicazione più coerente del metodo teologico, senza il falso timore di svuotare la norma canonica della sua forza giuridica vincolante, o ancora peggio, della sua natura. Nulla è più vincolante della giustizia di Dio. La funzione delle diverse scuole non è quella di opporsi aprioristicamente, ma di essere complementari.
In merito alla nozione giustizia di Dio, Sobanski ha dato un notevole contenuto attirando l’attenzione sul fatto che i suoi contenuti non sono quelli della giustizia naturale, ma quelli delle tre virtù: fede, speranza, carità 32. Questa osservazione ha le sue implicazioni anche in rapporto al problema dei diritti fondamentali, poiché essi, come hanno fatto osservare Alexander Hollerbach 33 e Amadeo de Fuenmayor 34 , sono correlati a valori fondamentali. Il compito specifico del canonista, ma anche del legislatore, è quello di saper formulare nella norma canonica le implicazioni giuridiche dei valori teologici essenziali, dettati dalla struttura della Chiesa come Communio ecclesiae et ecclesiarum.
Il rinvio alla trascendenza, contenuto nell’istituto classico della aequitas canonica 35 , assume oggi dimensioni ben più vaste di prima, che superano l’orizzonte della filosofia cristiana, per investire quello più specifico della teologia e della ecclesiologia. Se il canonista dovesse rinunciare a priori al compito di cogliere la dimensione giuridica dei valori fondamentali, fede, speranza e carità, dai quali derivano tutti gli altri, saremmo costretti a inchinarci davanti a Sohm che ha teorizzato l’impossibilità di sradicare dall’esperienza cristiana, giustamente definita da Erik Wolf 36 come paradossale, l’antinomia tra diritto e carità, che impedisce al christifidelis contemporaneo di vivere un’esperienza di unità della sua persona nella Chiesa.
Del resto, al di là delle divergenze e diatribe di scuola, è evidente ormai la preoccupazione di tutti i canonisti contemporanei di dare alla loro disciplina un’identità teologica più precisa. Questa svolta verso la quarta fase dello sviluppo storico della canonistica si è imposta anzitutto sotto la spinta della teologia moderna cattolica e protestante (in particolare di Barth37 ; in secondo luogo in forza della constatazione ineludibile che la secolarizzazione della società moderna ha eliminato anche gli ultimi resti di cristianità, alla cui sopravvivenza con anacronismo storico, il legislatore del 1917 aveva ancora creduto.
Nel frattempo i sintomi e i segni favorevoli ad un approfondimento del metodo teologico dei diritto canonico si sono moltiplicati, non da ultimo da parte del legislatore; anche se sono ancora inorganici e riflettono spesso la mancanza di una chiara determinazione nella politica dell’autore della legge. La sistematica del futuro codice, in particolare, potrebbe essere un segno di questa nuova determinazione, anche se, nella fattispecie, una più precisa volontà politica avrebbe potuto far scegliere altri orientamenti, come ad esempio quellosacramentale proposto a suo tempo da Stefan Kuttner 38 . È evidente in ogni caso che il futuro codice non intende più essere il codice di una Chiesa intesa come societas perfecta, ma intesa primariamente come Popolo di Dio.
In questo ampio contesto si pone il problema dei diritti fondamentali attorno ai quali tutti i nodi metodologici della canonistica sembrano proprio venire al pettine.
Diventata negli ultimi decenni una delle voci più autentiche della promozione dei diritti dell’uomo nel mondo contemporaneo, per una questione di principio, la Chiesa sembra – a parere di molti – non potersi esimere da un pronunciamento al suo interno. Pena la perdita della propria credibilità, essa dovrebbe riconoscere non solo, per analogia con lo Stato, l’esistenza di diritti fondamentali specifici del cristiano, ma addirittura la validità immediata degli stessi diritti naturali dell’uomo nel proprio ordinamento giuridico.
Sono due aspetti del problema che interessano inevitabilmente la riflessione teorica generale sul diritto canonico: il primo perché tocca il problema dell’analogia, da sempre cerniera, più o meno consapevole, per mediare l’influsso reciproco tra diritto secolare e canonico; il secondo perché tocca una delle questioni chiave e più delicate di tutta la teologia: il rapporto natura-soprannatura. Per raffrontare correttamente questi due problemi, li separerò l’uno dall’altro.

5. L’applicazione dell’analogia

La canonistica ha sempre avuto coscienza che, rispetto al diritto secolare, quello della Chiesa è un diritto sui generis. La letteratura moderna incomincia inoltre a interrogarsi sull’uso stesso dell’analogia 39 . In ogni caso avverte l’impossibilità di considerare il diritto secolare come analogatum princeps di quello ecclesiale 40 . Nell’accezione aristotelico-tomista – che è quella che conta ai fini del nostro discorso – l’analogia indica prima di tutto un simpliciter diversum e solo in seguito unsecundum quid idem. Essa permette quindi di cogliere negativamente la diversità tra i due ordini giuridici, ma non è in grado di definire positivamente la natura specifica del diritto ecclesiale. Tanto meno permette di elaborare, in modo esauriente, una teoria generale del diritto canonico, che ne rispetti la ascendenza teologica.
Nell’analogia proportionalitatis che, come ha sottolineato recentemente Hubert Müller 41 , e quella fondamentale, il rapporto non si stabilisce direttamente tra le due realtà messe a confronto, ma attraverso la mediazione di un elemento comune che le trascende. Questo tertium non può essere il diritto statuale, ma la nozione di diritto in quanto tale. Essa al pari della nozione dell’essere, del buono e del bello è trascendente ad ogni forma concreta di diritto.
La nozione di essere infatti è trascendente all’applicazione suprema che di essa si realizza in Dio. Come ha precisato Wilhelm Bertrams 42 , in uno degli ultimi scritti, la nozione di diritto si realizza in modo diverso, così come l’essere si realizza in modo diverso in Dio e nella creatura: simpliciter diversum e solo secundum quid idem.
Di questa stessa legge dell’essere, che per sua definizione è analogico, bisogna tener correttamente conto anche a proposito dei diritti fondamentali. L’istituto statuale non è quindi l’analogatum princepsdi quello canonico. Il punto di riferimento comune è senza dubbio la nozione di diritto, che si realizza in modo diverso nei due ordinamenti.

6. Il concetto di “fondamentalità” nell’“ordinamento canonico”

Resta da vedere se anche la categoria espressa dall’aggettivo fondamentale è trascendente i due ordinamenti giuridici, quello statuale e quello ecclesiale, così da poter essere applicata a tutti e due sulla base dell’analogia proportionalitatis. Nella fattispecie penso che la categoria espressa dall’aggettivo fondamentale non sia trascendente, ma specifica del diritto pubblico costituzionale dello stato moderno. Infatti, non esiste identità, neppure sotto il profilo del diritto statuale, tra i diritti dell’uomo in quanto tali e i diritti fondamentali.
Il concetto di fondamentalità è correlativo alla funzione che i diritti del l’uomo acquistano all’interno del sistema costituzionale dello Stato moderno. In campo ecclesiale potrebbe essere più corretto perciò non definire i diritti del cristiano come diritti fondamentali, ma eventualmente come diritti primari o semplicemente come diritti. La disputa avvenuta attorno all’esistenza o meno, in diritto canonico, di diritti soggettivi, cui ha fatto allusione anche Giorgio Feliciani 43 , dimostra che anche in altri settori della canonistica l’uso dell’analogia è legittimo solo se rigoroso.
Nell’ordinamento costituzionale dello Stato moderno la nozione di diritto fondamentale significa originariamente due cose: preesistenza della persona come soggetto giuridico rispetto allo Stato, e, di conseguenza, garanzia di uno spazio di autonomia per l’individuo. Come ha dimostratoAlexander Hollerbach 44 in particolare la nozione storicamente originaria dei diritti fondamentali è evoluta fino al punto da trasformare la stessa nozione originaria del moderno Stato di diritto. Dallo Stato chiamato a garantire l’applicazione del diritto, si è passati allo Stato sociale, chiamato a programmare e promuovere il benessere materiale e si è giunti al modello di Stato culturale chiamato a promuovere anche l’attività culturale e spirituale del cittadino.
La struttura originaria di bipolarità concorrenziale tra cittadino e Stato è tuttavia rimasta sostanzialmente intatta. In tutte e tre le forme di evoluzione del modello statale occidentale, il cittadino continua a rivendicare uno spazio di autonomia individuale e lo Stato continua a limitare l’uso del proprio potere anche se è chiamato positivamente a moltiplicare i suoi interventi in favore del cittadino, ben al di là delle previsioni insite nel modello originale dello Stato di diritto. Il problema si risolve non eliminando la bipolarità strutturale ma nel regolarla secondo il principio del check and balance.
Era inevitabile che nel corso di questa evoluzione anche la questione dei doveri del cittadino subisse precisazioni ulteriori. Se la libertà, come ha detto S. E. il Card. Ratzinger 45 , è libertà solo quando accetta di essere vincolata, anche i doveri del cittadino si sono moltiplicati, rispetto a quelli primari dello Stato di diritto, riducibili al dovere di scolarità, di contributo fiscale e di servizio militare.
Concludendo si può dire che la potenzialità intrinseca ai diritti dell’uomo, ma anche ai diritti fondamentali, che ha sempre debordato i confini individuali, ha alla fine investito tutta la struttura costituzionale dello Stato. Il principio democratico, la separazione dei poteri, il principio della costituzionalità e della legalità, quello della socialità e il federalismo sono derivazioni, più o meno lineari, dei diritti fondamentali, che hanno determinato il passaggio dallo stato assolutista a quello democratico.
Il carattere di fondamentalità assunto dai diritti dell’uomo nel sistema costituzionale dello Stato è tale perché determina profondamente la struttura stessa della costituzione, il cui telos è quello di garantire che questi stessi diritti vengano realizzati, non solo dal profilo formale ma anche da quello materiale. Queste sono le implicazioni immanenti alla nozione di fondamenlalità propria di taluni diritti del cittadino.
Ci si deve allora chiedere se sotto il profilo metodologico sia possibile risolvere il problema dei diritti dei cristiani nella Chiesa applicando loro, per analogia, la stessa nozione della fondamentalità; oppure se non si debba procedere, in modo autonomo a partire da una riflessione ecclesiologica, accontentandosi eventualmente della analogia attributionis, che però non è costitutiva.
Qualsiasi scienza, ma in modo particolare quella teologica, e perciò quella canonistica, che procedesse solo per imitazione di contenuti di altre scienze senza avere la forza di elaborare il proprio progetto culturale non avrebbe più nulla di vero e profetico da dire all’uomo. Anche la scienza canonistica deve perciò costruirsi a partire dalla coscienza profonda delle proprie capacità, delle proprie fonti ermeneutiche e della certezza incrollabile di partecipare non in modo derivato, ma originale ed autonomo, alla natura e alla conoscenza della ricchezza analogica dell’essere.
Il carattere di fondamentalità sembra dunque essere non l’elemento che unisce la posizione giuridica della persona nello Stato e nella Chiesa, ma l’elemento che la diversifica.
La prima constatazione che si impone è la seguente: la struttura costituzionale della Chiesa non ha come telos quello di garantire la realizzazione dei diritti dei fedeli. Forse rifacendosi a presupposti teologici differenti Dietrich Pirson 46 ha espresso questo stesso concetto quando ha affermato che il diritto costituzionale delle Chiese luterane non ha mai avuto come funzione primaria quella di occuparsi della posizione giuridica del singolo cristiano. Ha avuto piuttosto il compito di garantire una struttura organizzativa: è unOrganisationsrecht.
Come è sottolineato da Antonio Rouco Varela 47 ,la costituzione della Chiesa ha come scopo primario quello di dare la garanzia che la Parola e il Sacramento celebrati oggi nella Chiesa siano ancora la stessa Parola e lo stesso Sacramento istituiti da Cristo. Essa deve conservare autentico il messaggio di salvezza attraverso la mediazione della Chiesa, che si esprime concretamente appunto nella sua struttura costituzionale. Il soggetto ultimo operante nella Chiesa è Cristo, è il Cristo che ha inviato lo Spirito Santo.
La Chiesa ha una responsabilità propria, ma la sua soggettività non è esclusiva e autonoma rispetto a Cristo capo invisibile della Chiesa.
La seconda constatazione è la seguente: i diritti specifici dei cristiani non sono preesistenti alla Chiesa, ma conferiti dalla stessa attraverso il battesimo e gli altri sacramenti. A questo proposito mi sembra opportuno osservare che potrebbe essere teologicamente scorretto considerare il battesimo come unico ed esclusivo fondamento dei diritti fondamentali del cristiano. Sotto il profilo ecumenico e nella prospettiva di Sobanski 48 , potrebbe essere giustificato, tuttavia non bisogna dimenticare che il battesimo è solo la ianua degli altri sacramenti. Ignorarli in questo contesto potrebbe equivalere a svuotarli del loro significato, poiché non sono solo uno sviluppo ulteriore del battesimo: sono costitutivi della personalità ecclesiale globale. Questo brevissimo accenno mette per lo meno in luce il fatto che il problema dei diritti fondamentali non è ancora stato colto in tutti i suoi aspetti teologici.
La terza constatazione è che anche il concetto di autonomia individuale derivante dai diritti fondamentali non è applicabile alla costituzione della Chiesa. Ciò non significa che il cristiano non goda di una propria autonomia, ma solo che le implicazioni legate al concetto del diritto fondamentale non sono ad essa applicabili. Del resto anche il concetto di autonomia assume nella Communio ecclesiae et ecclesiarum – dove esiste un’autonomia della Chiesa particolare rispetto a quella universale 49 – connotazioni specifiche e proprie.
Da questo breve raffronto degli elementi centrali del problema si deve concludere che la teoria generale dei diritti fondamentali propria del diritto pubblico costituzionale dello Stato, non può essere impunemente ripresa nella teoria generale del diritto canonico. Il carattere della fondamentalità non sembra essere un concetto che trascende i due ordinamenti, statuale e canonico, e di conseguenza non può essere applicato per analogia proportionalitatis alle due realtà. Prima di dare un giudizio definitivo comunque è necessario fare un’altra verifica affrontando il problema non più perviam negationis o comparationis, ma per via positiva. Questo coincide col porsi il problema della esatta valenza costituzionale, della categoria ecclesiologica e canonistica di Communio.

7. La nozione di “communio”

Quello di Communio, a causa della poliedricità dell’uso, è diventato un concetto tra i più fluidi e ambigui del linguaggio teologico post-conciliare. È ilpasse-par-tout con il quale si pensa di poter dare una risposta a tutti i problemi. All’interno dell’oscillazione cui è normalmente sottoposto (psicologica, etica, spirituale-mistico, pastorale), si tratta di isolare il nocciolo strutturale e perciò istituzionale del suo significato.
Il locus theologicus della nozione di Communio è l’ecclesiologia e in particolare l’art. 23,1 della LG dove per altro il termine Communio in quanto tale non appare. È stato Winfried Aymans nella linea diKlaus Mörsdorf 50 , che mi onoro di chiamar maestro – in una rilevante monografia 51 a mettere in evidenza la genialità teologica della formula conciliare, contenuta in questo articolo: “in quibus et ex quibus una et unica ecclesia catholica exsistit”. La Communio ecclesiarum non nasce dal fatto che ogni Chiesa particolare è Chiesa perché realizza concretamente e con fedeltà più o meno grande la Chiesa universale, concepita quasi platonicamente come modello o archetipo astratto. In questa linea tende a muoversi la teologia ortodossa orientale, che in effetti non usa la categoria Communio ma quella Sobornost 52 .
La Chiesa universale non si realizza neppure in forza della volontà corporativa delle Chiese particolari, che ha spinto ben presto le Chiese e le comunità ecclesiali nate dalla Riforma ad associarsi in federazioni piu vaste. È questa una concezione che si muove sullo sfondo della filosofia nominalista, propria del tardo medioevo – che concepiva la Chiesa e il Concilio Generale corporativisticamente53 – di cui Lutero e gli altri riformatori hanno subito l’influsso.
Nella concezione ecclesiologica del Vaticano II laCommunio nasce dal fatto che la Chiesa universale esiste concretamente solo nella misura in cui si realizza nelle Chiese particolari e dal fatto che essa, in quanto realtà concreta – non solo ideale e astratta – è costituita a sua volta dalle Chiese particolari. La Chiesa universale che si realizza nelle Chiese particolari è la stessa che si costituisce dalle Chiese particolari. La formula “in quibus et ex quibus”, della LG 23,1, coglie il mistero della Chiesa nella sua essenza istituzionale. È perciò un modello conoscibile solo per fede che, in forza di una logica precisa, non trova riscontro adeguato in nessun modello costituzionale statale, neppure in quello federalistico. È evidente che lo sfondo culturale aristotelico-ilemorfistico, in cui si è mossa di preferenza tutta la teologia latina, non è estraneo a questa formula conciliare, che ha ripreso e perfezionato la ben nota formula di San Cipriano 54. Questo sia detto, anche se la formula della fede, per tutte le confessioni, trascende sempre, nel suo nocciolo, i presupposti culturali filosofici da cui essa immediatamente dipende.
Il significato strutturale della categoria Communio è stato espresso con un’altra formula, particolarmente efficace, da Hans-Urs von Balthasar 55 nel titolo del suo libro Il tutto nel frammento. Tutta la Chiesa è presente nel frammento della Eucarestia; d’altra parte la Chiesa stessa nella sua totalità si costituisce, a sua volta, a partire dalla celebrazione di tutte le Eucarestie.
Questa dinamica strutturale della Communio rimane la stessa anche quando dalla ecclesiologia si passa alla antropologia teologica. La personalità del cristiano, in quanto uomo nuovo che ha abbandonato l’uomo vecchio, è determinata dalla comunione. La sua identità metafisica e giuridica è data dal fatto che in forza del battesimo l’uomo è stato radicato strutturalmente, e non solo dal·profilo etico, nel Cristo. Il cristiano rappresenta il Cristo poiché in lui è presente tutto il Cristo con il suo Corpo Mistico. Il cristiano non può perciò essere concepito come una entità individuale contrapposta a quella collettiva, ma come soggetto al quale tutta la comunità dei cristiani è misteriosamente, ma realmente, immanente. Sul piano giuridico il rapporto con tutti gli altri membri della comunità cristiana – anche con quelli che esprimono la funzione di servizio dell’Autorità – cambia strutturalmente. Non esiste più come rapporto di polarità concorrenziale.
Questa integrazione è strutturale e totale. Il canone 87 del CIC testimonia fino ad oggi che questa è la coscienza antropologica più profonda della Chiesa. Il cristiano è visto, da una parte, come colui che è sminuito nella sua personalità ontologica e giuridica se vive extra-communionem, dall’altra, come colui che non può sottrarsi totalmente allo statuto ontologico della comunione stessa. Egli appartiene costituzionalmente, per sempre, all’unica Chiesa di Cristo mediante il battesimo: semel christianus, semper christianus.
La struttura costituzionale della Chiesa e il rapporto giuridico proprio alla sua concezione antropologica, non coincidono né con il modello dello Stato liberale democratico moderno, né con quello dello Stato socialista.  Nel primo l’individuo è concepito a partire dalla sua alterità ripresso alla collettività. Anche se i nessi strutturali dei due poli stanno diventando sempre più complessi e stringenti, l’elemento del in quibus non si realizza. L’individuo non realizza in sé tutta la collettività, come lo Stato federato non realizza in se tutta la Confederazione.
Non dobbiamo ingenuamente credere che lo Stato occidentale moderno, anche nelle sue espressioni teoriche e pratiche, ritenute migliori nel mondo occidentale, sia una emanazione autentica del diritto naturale e perciò espliciti con fedeltà la natura dei rapporti intersoggettivi così come Dio li avrebbe costituiti in nuce nella creazione. Basterebbe la testimonianza data da Leonardo Boff 56 per richiamare alla coscienza di tutti questa fonda mentale verità. Il diritto naturale moderno, di estrazione razionalistica e naturistica, non coincide necessariamente neppure con il ius divinum naturaledi tradizione cattolica suareziana, in quanto diritto proprio allo stato di natura dopo il peccato originale.
Nello Stato socialista la situazione strutturale è capovolta. L’individuo è finalizzato allo sviluppo storico-dialettico del collettivo. L’autonomia del singolo è negata e la collettività non e concepita come costituita da tutti gli individui: l’elemento dell’ex quibus è sacrificato. Non faccio in questa sede riferimenti al modello dei diritti fondamentali che alcuni autori chiamano terzomondista perché non sembra ancora essere interpretabile in modo concettualmente univoco 57 .
Da questo esame della struttura comunionale della Chiesa e dell’antropologia teologica cristiana mi sembra che la prova positiva della impossibilità di applicare la categoria della fondamentalità mediante l’analogia proportionalitatis, ai diritti del cristiano nella Chiesa, possa essere considerata sufficientemente valida.

8. La nozione di “diritto” come “dovere”

Ci si può tuttavia ancora chiedere se non sia possibile risolvere il problema capovolgendo il rapporto tradizionale diritto-dovere, in dovere-diritto. Dal congresso non mi sembra sia venuta nessuna indicazione stringente in questo senso. Le due formule sono state usate indistintamente senza la pretesa di mettere a tema la natura e l’ordine dei due termini del rapporto. Anche i cataloghi progettati per il nuovo codice Lex fundamentalisalternano i due valori senza lasciarne apparire precisi criteri di scelta.
Il problema è stato però posto in modo estremamente chiaro e brillante da Piero Bellini 58in un suo recente articolo. Gli ordinamenti giuridici dello Stato e della Chiesa non obbediscono allo stesso modello, da Bellini chiamato culturale, per differenziare il suo approccio al problema da quello tradizionale, filosofico e teologico. Il modello laico è fondato sul diritto naturale, quello ecclesiale su una concezione religiosa sacrale. In essa la posizione del credente è definita primariamente dal concetto di dovere. Il dovere postula per sua natura il diritto di potersi realizzare.
Per quanto interessante e storicamente documentabile, attraverso Jacques Maritain 59 , questa posizione potrebbe tradire una opzione filosofica diversa da quella in cui si è mosso fino ad oggi il dibattito canonico sui diritti fondamentali. Come ha fatto osservare Dietrich Pirson 60 , ma anche Ulrich Scheuner 61 in un suo articolo, determinate inclinazioni del luteranesimo hanno esercitato un influsso sulla idea di diritto come dovere 62 . In effetti anche la scuola francescana del tardo medioevo, da cui Lutero dipende, aveva interpretato la categoria di lex aeterna che sta all’apice della trilogia tomista lex divina, lex naturalis, lex humana, non come espressione della ragione divina, ma come espressione della voluntas Dei 63 .
In sintesi credo che la sostituzione del modello tradizionale, di ispirazione realista, con un modello volontarista – più incline al positivismo giuridico – non sia sufficiente per dirimere la questione del significato costituzionale dei diritti del cristiano nella Chiesa. La tradizione cattolica ha sempre individuato nella ontologia l’infrastruttura filosofica che meglio di ogni altra le poteva garantire l’equidistanza degli estremi. In realtà più che di compiere una volontà di Dio, concepita come intervento eteronomo rispetto alle cose, si tratta di prendere coscienza della struttura che le cose hanno per loro natura. In essa Dio manifesta la sua volontà. Comunque anche questo problema rimane aperto.

9. Clausole garantiste

Concludendo questa prima parte del discorso relativa ai diritti del cristiano nella Chiesa è necessario sottolineare con ogni chiarezza che l’eventuale negazione del carattere di fondamentalità dei diritti del cristiano nella Chiesa non implica per nulla la negazione dell’esistenza dei diritti del cristiano nella Chiesa; diritti tra cui esiste un’evidente scala gerarchica di priorità.
I·dibattiti del Congresso – in modo particolare quelli concernenti la II. e la III. Sessione, hanno permesso di mettere a fuoco moltissimi problemi e messo in luce i molti limiti dell’attuale formulazione.
In particolare, se è vero come ha sostenuto Helmut Schnitzer 64 , che il progetto legislativo si è sforzato di cogliere la specificità dei diritti del cristiano rispetto ai diritti naturali apponendo tutta una serie di precisazioni e cautele, è altrettanto vero che proprio queste clausole salvatorie sono, come ha sostenuto Jean Bernhard 65 , di natura garantista. Esse mirano più a conservare intatta la posizione della gerarchia che a precisare i diritti stessi dei fedeli. Basterebbe questo giudizio critico per evidenziare la necessità di procedere, comunque, ad un nuovo esame della loro formulazione, prima della promulgazione del nuovo CIC o della LEF.

10. Conseguenze della non “fondamentalità”

I problemi conseguenti alla negazione dellafondamentalità dei diritti del cristiano nella Chiesa, sono molteplici. Capisco di non poter soffermarmi, per cui mi limito ad enumerarne qualcuno, tenendo conto soprattutto di quelli emergenti in forza della logica propria alla tecnica giuridica:
– problema della collocazione sistematica dei diritti del cristiano (nel CIC o nella LEF),
– problema della loro protezione giuridica specifica,
– problema della opportunità stessa di promulgare una LEF come quella attuale.
Si tratta infatti di un modello di Legge Fondamentale che coglie il mistero della Chiesa a livello di elementi ecclesiologici non primari, ma derivati 66: diritti fondamentali – distribuzione del potere (rapporto papa-vescovi) ed esercizio del potere (tria munera). Gli elementi primari, Parola-Sacramento e carismi, che pure hanno una valenza giuridica non emergono come elementi portanti 67 . Infatti troppo spesso il discorso scivola ad un livello di pura tecnica giuridica. Passo perciò alla seconda questione di fondo.

11. Correlazione tra i valori fondamentali e i diritti del cristiano

In che senso è legittimo affermare che i diritti dell’uomo derivati dal suo statuto creazionale, cioè dalla dignitas humanae naturae – espressione culturale già contenuta nella lettera di Clemente ai Corinti e trasmessa al medioevo dalla eloquenza di papa Leone Magno 68 – sono applicabili anche come diritti del cristiano nella Chiesa? Il canone 3 dell’ultimo progetto (1978) della LEF elude il problema 69 , ma la dottrina canonistica deve saper dare una risposta chiarificatrice all’interrogativo, qualche volta inquietante 70 , posto non solo dall’opinione pubblica ma anche dagli ambienti scientifici.
Il problema è risolvibile solo subordinatamente alla questione più radicale che gli sta a monte: il rapporto tra natura e soprannatura, tra ragione e fede, da sempre una crux theologorum. Qualche precisazione comunque è possibile. Man mano che la Chiesa riesce a mettere a tema la propria esperienza, la ragione permette di conoscere con profondità sempre maggiore la ragionevolezza intrinseca dei contenuti della fede. La fede permette a sua volta di mettere in luce la verità ultima e propria dei contenuti della conoscenza razionale. Secondo la tradizione cattolica non esiste contradditorietà tra le due conoscenze anche se la salvezza viene dalla fede e non dalla ragione. Si tratta di una interdipendenza fondata sulla preminenza della fede rispetto alla ragione, poiché la certezza ultima della fede non si appoggia sulla ragione e poiché solo la fede, in quanto dono gratuito di Dio, assicura la conoscenza certa e definitiva del significato dell’uomo e della storia.
I diritti dell’uomo, anche quando dovessero essere formulati a partire dalla coscienza cristiana già illuminata dalla fede alla quale allude la formula di estrazione suareziana del ius divinum naturale (e non a partire dal diritto naturale moderno di estrazione razionalistica), non possono essere considerati come fonte di conoscenza adeguata e come parametro dei diritti del cristiano nella Chiesa.
Il discorso assume una precisione ancora maggiore se si tien conto della distinzione e della correlazione esistente tra diritti fondamentali e valori fondamentali.
Si tratta di una distinzione e di una correlazione del problema, che esistono anche a livello teologico e canonistico. I lavori del Congresso l’hanno messo più volte in evidenza. L’osservazione, fatta daAmadeo de Fuenmayor 71 , circa l’ambiguità e lo scarto reperibili tra la formulazione dei diritti fondamentali del cittadino e i valori fondamentali della società e dello Stato, è illuminante. Anche in diritto canonico non si può prescindere, nell’affrontare i diritti del Cristiano nella Chiesa, dal rapporto di correlazione esistente tra norma giuridica e valore.
Persino nell’ipotesi che i diritti fondamentali e costituzionali del cittadino riuscissero a declinare in un determinato momento storico i valori specifici delius divinum naturale (che comunque rappresenta il diritto proprio allo status naturae dopo il peccato originale e non quello della natura umana dello stato di giustizia originale) non potrebbero ancora essere considerati come criterio qualificante l’esperienza ecclesiale. Infatti i valori umani fondamentali, pur non essendo, per principio, contradditori a quelli soprannaturali non coincidono con essi; anzi, se applicati in modo assoluto, potrebbero diventare di ostacolo ad una esperienza ecclesiale.
Lo scarto esistente tra i due cataloghi (quello dei diritti fondamentali dell’uomo e quello dei diritti del cristiano nella Chiesa) è lo stesso che esiste tra la funzione del decalogo per la convivenza sociale umana e la funzione del discorso della montagna per l’esperienza ecclesiale. È vero che il cristianesimo ha assunto i valori etici del diritto naturale, attraverso la mediazione culturale dello stoicismo, ma è altrettanto vero che le quattro virtù cardinali, in quanto espressione sintetica di questi valori, non possono essere messe sullo stesso piano delle tre virtù teologali. Remigiusz Sobanski72 ha fatto notare, giustamente, che, nella Chiesa, non esistono due piani diversi ugualmente validi: quello della giustizia e quello dell’amore (come una certa manualistica del passato ha potuto invece far credere).
Le virtù teologali, di cui la carità è l’espressione globale, non rappresentano il livello di valore non necessario rispetto alla giustizia. Se si dovesse accettare questa dicotomia tra etica naturale necessaria e carità non necessaria, bisognerebbe allora accettare l’affermato antagonismo tra diritto e carità, che non ha fondamento nell’ecclesiologia.
È stato sottolineato da più parti che il diritto principale del cristiano è quello di poter ricevere dai pastori l’annuncio integrale della fede 73 , della speranza e della carità, attraverso la mediazione dei Sacramenti e della Parola. Da questo diritto ne deriva un altro: quello di partecipare responsabilmente, secondo modalità, funzioni e carismi diversi, alla costruzione della Chiesa. A sua volta questo diritto è il fondamento che permette di individuare con maggior precisione la valenza teologico-canonistica che dovrebbe essere riconosciuta al sensus fidelium 74 .
Chi non pratica la fede, la speranza e la carità, da cui dipendono e verso cui convergono tutti i valori fondamentali dell’esperienza cristiana, non pratica, ultimamente, la giustizia ecclesiale: non garantisce agli altri ciò cui hanno diritto, non realizza l’unicuiquesuum 75 . La fede, la speranza e la carità sono valori sociali che costituiscono il tessuto intersoggettivo della struttura comunionale della Chiesa, radicata nella forza, giuridicamente vincolante, della Parola e del Sacramento.

12. Applicabilità dei diritti naturali?

 Quale valore deve allora essere riconosciuto nella Chiesa ai diritti naturali dell’uomo? Mons. Antonio Rouco Varela 76 ha proposto come criterio di soluzione la categoria della sussidiarietà. I diritti naturali dell’uomo in quanto tali da una parte, e i diritti fondamentali, formulati costituzionalmente dal diritto pubblico moderno, dall’altra, sarebbero applicabili, in modo sussidiario, sia dal profilo contenutistico che giuridico. Questo a condizione che non risultino concretamente contradditori alla specificità propria dei diritti del cristiano e a condizione che contribuiscano positivamente al perseguimento dei fini propri del diritto canonico.
In vista di una teoria generale del diritto canonico mi sembra possibile precisare ulteriormente la questione. Il principio di sussidiarietà così come è stato formulato da Gustav Gundlach 77 e dalla dottrina sociale della Chiesa, ma anche dal diritto canonico moderno, implica due elementi. Da una parte regola il rapporto di potere tra l’istanza superiore e quella inferiore (e non viceversa!), dall’altra ammette che l’istanza inferiore possa risolvere la controversia in questione in modo definitivamente valido. Ciò equivale a dire che il valore, implicito nella decisione dell’istanza inferiore, ha in se stesso carattere assoluto. I valori naturali dei diritti dell’uomo non hanno per contro valore assoluto, ma sono semplicemente relativi rispetto ai valori soprannaturali e ai diritti del cristiano nella Chiesa.
Questa relatività si manifesta a due livelli diversi. Nel grado di conoscenza, perché, come abbiamo visto, solo la fede dà una certezza assoluta di verità; nel grado di applicabilità, perché possono avere solo una funzione di supplenza. Sono applicabili solo quando la fede non è ancora arrivata ad una conoscenza della verità e dei valori superiore a quella della ragione, oppure quando la mancanza concreta di fede, nei cristiani o nei pastori, esige il ricorso a criteri più facilmente diffusi e accettati da tutti. La pratica dei diritti naturali potrebbe perciò costituire concretamente il presupposto o la conditio sine qua non per salvare l’unità nella Communio, in mancanza di altri criteri capaci di promuoverla positivamente.
Mi sembra che il principio scolastico, radicato nel cuore stesso della teologia cattolica, gratia perficit, non destruit naturam, dia la chiave di soluzione del problema. La natura non produce la grazia; la grazia presuppone la esistenza di una natura, quella dellostatus peccati originalis, sufficientemente sana per essere capace di offrire ancora il supporto necessario affinché la grazia non diventi una sovrastruttura alla storia ma possa penetrare in essa trasformandola. Questo principio teologico, applicato del resto in diritto canonico a proposito del rapporto contratto matrimoniale sacramento, non può non essere impiegato, in tutto il suo rigore, dalla canonistica, anche a proposito dei diritti del cristiano 78.
Il paradigma del rapporto tra diritti naturali dell’uomo e diritti del cristiano, appare del resto in modo evidente nel diritto alla libertà di coscienza. Esso non è applicabile come diritto fondamentale del cristiano nella Chiesa, tuttavia costituisce il presupposto naturale senza del quale neppure la Chiesa potrebbe costituirsi. Già Graziano, citato come fonte dal canone 1351 del CIC, fa stato di questa coscienza antica della Chiesa 79 . Il cristiano non gode della libertà di coscienza nel senso che la comunità ecclesiale non possa domandargli, come condizione della sua appartenenza, un comportamento confessionale vincolante; ma, come è già stato sottolineato da più parti in questa sede 80 , gode del diritto che nei suoi confronti la Chiesa non eserciti alcuna forma di costrizione usando mezzi per loro natura estranei al proprio ordinamento giuridico.
La libertà di coscienza è stata indicata ripetutamente dal magistero come diritto fondamentale dell’uomo in cui convergono tutti gli altri diritti naturali e costituzionali 81 . In questo senso costituisce il parametro del rapporto tra natura e soprannatura, tra ragione e fede. Non è possibile infatti stabilire limiti alla possibilità di espansione della fede e alla possibilità di un suo approfondimento totale.
Lo stato ecclesiale dei consigli evangelici (che sta accanto a quello laicale e presbiteriale in un rapporto di interdipendenza circolare poiché ognuno dei tre stati ha una qualche priorità sugli altri) ha esattamente la funzione di richiamare tutti i fedeli alla possibilità di una adesione totale alla fede, alla speranza e alla carità, slegata da vincoli e limiti umani propri allo stato di natura corrotta. In effetti lo stato dei consigli evangelici rende costante testimonianza alla dimensione escatologica di tutta la Chiesa. Solo nell’escatologia sarà realizzata, nel suo compimento totale, la natura umana, secondo lo statuto che le fu proprio nello stato di giustizia originale: quello di essere feconda in modo verginale; quello di possedere senza sottostare a limiti; e quello di essere libera pur praticando un’obbedienza totale 82 .
In questo senso mi sembra di poter integrare anche l’ammonimento fatto da Leonardo Boff 83 circa il diritto fondamentale del povero nella Chiesa. È vero che i cataloghi dei diritti fondamentali del cristiano espressi nella LEF e nel secondo libro del progetto di codificazione non formulano alcun diritto particolare del povero. In sede di teoria generale si tratterebbe anzitutto di riuscire a definirne la configurazione giuridica. Due brevi osservazioni comunque mi sembrano opportune.
Anche nell’ipotesi che si possa isolare uno statuto giuridico del povero in quanto tale, non si tratterebbe comunque d’introdurre nella Chiesa un catalogo di diritti sociali naturali in sua garanzia. Caso mai si tratterebbe di identificare l’eventuale rapporto giuridico esistente tra i cristiani a livello dei beni patrimoniali. Il diritto del povero nella Chiesa dovrebbe essere quello di poter partecipare pienamente alla comunione dei beni. Criterio che dovrebbe essere considerato come l’unico, autenticamente cristiano, di possesso patrimoniale. Come si può ancora vedere nelle stupende e insuperate pagine di Jacques Maritain 84 sulla proprietà privata e il bene comune. Il nuovo progetto di diritto patrimoniale non afferma purtroppo il criterio della comunione dei beni come principio generale; tuttavia lo applica in modo esplicito a proposito di certi nuovi istituti (introdotti peraltro solo in funzione del clero) 85 .

13. Conclusioni

 Diritti naturali dell’uomo validi anche per il cristiano nella Chiesa? La risposta è un sì e un no allo stesso tempo. Un sì perché i diritti naturali sono un limite e una condizione previa affinché la Communiopossa realizzarsi, un no perché essi in quanto espressione di valori non soprannaturali non sono di per se stessi capaci di generare la Communio ecclesiae et ecclesiarum in quanto tale. Un sì perché la Chiesa in un determinato momento storico potrebbe ritenere necessario di ricorrere ad essi per provocare una riflessione più profonda sulla natura dei diritti del cristiano; un no perché la loro funzione può essere considerata solo come provvisoria e interlocutoria, più che sussidiaria, in attesa che i cristiani recuperino totalmente nella fede, nella speranza e nella carità i valori e i criteri che dovrebbero determinare la specificità della loro esperienza ecclesiale.
Il diritto canonico non può rinunciare a queste precisazioni non solo in sede teoretica generale ma anche in sede legislativa. A mio avviso al canone 3 dell’ultimo progetto della LEF dove la Chiesa professa la propria stima e il proprio impegno in favore dei diritti fondamentali dell’uomo, andrebbe aggiunto un secondo paragrafo in cui si affermi:“caveant tamen christifideles ne, recursu exclusivo ad jura fundamentalia hominum in ecclesia, natura communionis cum Deo et hominibus evanescat”.
In questo momento di svolta storica della legislazione canonica e della scienza canonistica, credo non sia possibile, in sede di teoria generale del diritto canonico, rinunciare ad una applicazione rigorosa dei postulati propri alla teologia senza esitare a varcare la soglia che dalla ragione sfocia nella profezia. Solo a questa condizione la Chiesa potrebbe ancora sottoscrivere come ha fatto in altri tempi a partire da presupposti e da motivazioni diverse l’augurio scritto sul frontespizio della sala dell’università di Salamanca: “juri canonico, quo sit Ecclesia Christi felix”. Al diritto canonico che può assicurare alla Chiesa di Cristo una vita felice.


1  Cfr. Los derechos fundamentales del cristiano en la Iglesia y en la societad. Conferenza inaugurale del IV Congresso Internazionale di Diritto Canonico, pubblicata in questo volume; Sessione d’apertura. Le relazioni presentate al Congresso, alle quali sarà fatto riferimento in questa sede, saranno citate solo secondo il loro titolo e la Sessione in cui sono state pronunciate.

2   Cfr. La protezione giuridica dei diritti fondamentali; III Sessione.

3   Per l’analisi dello sviluppo metodologico della teologia nei suoi diversi modelli cfr. la grande e vigorosa Teologia di C. Vagaggini, in: Nuovo Dizionario di Teologia. A cura di G. Barbaglio e S. Dianich, Alba 1977, 1597-1711.

4  Su questo tema cfr. l’articolo, rimasto fondamentale anche se datato, di Y. Congar, De la communion des Eglises à une Ecclésiologie de l’Eglise Universelle: L’Episcopat et l’Eglise Universelle. Ouvrage publié sous la direction de Y.Congar et B. -D. Dupuy, Paris 1962, 227-260.

5  Cfr. Das altkatholische Kirchenrecht und das Dekret Gratians, Darmstadt 1967, München und Leipzig 1918, passim, per es. 552.

6  Grundrechte in Recht und Tradition der reformatorischen Kirche; IV Sessione.

7  Cfr. A. Rouco Varela, Le statut ontologique et épistémologique du droit canonique. Notes pour une théologie du Droit canonique, RSPhTh 57 (1973) 206-208.

8  Cfr. G. Fassò Storia della filosofia del diritto. Vol I: Antichità e Medioevo, Bologna 19702, 254-270.

9  Tractatus de Legibus ac de Deo Legislatore. Pars I, Napoli 1872. Per constatare questo fatto basterebbe fare il confronto tra il Libro III e il Libro IV. Nel primo Suarez tratta della legge positiva umana civile (chiedendosi in che miusura anche la Chiesa potrebbe promulgare leggi civili per i cristiani), nel secondo tratta invece esclusivamente della legge positiva canonica.

10  Cfr. per es. A. Freiherr von Campenhausen, Staatskirchenrecht, München 1973, 26-37.

11  Introducción a la ciencia del derecho canónico, Madrid 1967, 38-52; cfr. anche A. de la Hera – Ch. Munier, Le droit publique ecclésiastique à travers ses définitions, RDC 14 (1964) 32-63

12 . Per la sistematicità e la funzionalità del “Ius Publicum Ecclesiasticum”, Sal 25 (1963) 412 ss.

13 Kirche und Staat in der neueren katholischen Kirchenrechtswissenschaft, Berlin 1978.

14   Cfr. E. Corecco, Teologia del Diritto Canonico in: Nuovo Dizionario di Teologia, o.c., 1711-1753; Id., Theologie des Kirchenrechts Methodologische Ansätze, Trier 1980, 59-70.

15  Cfr. Id., “Ordinatio Rationis” o “Ordinatio Fidei” ? Appunti sulla definizione della legge canonica: Strumento Internazionale per un lavoro Teologico, Communio 36 (1977) 48-52.

16  Per un’analisi di questi modelli cfr. A. Rouco Varela – E. Corecco, Sacramento e Diritto: antinomia nella Chiesa? Milano 1971, 24-64.

17  Cfr. per es. il discorso di Papa Paolo VI ai partecipanti al II Congresso Internazionaie di Diritto Canonico del 1973: Persona e Ordinamento nella Chiesa. Atti del II Congresso Internazionale di Diritto Canonico, Milano 10-16 settembre 1973, Milano 1975, 579-588.

18   Cfr. Fundamentos eclesiologicos de una teoria de los derechos fundamentales del cristiano en la iglesia; I Sessione.

19   Cfr. La théologie comme science au XIIIe siècle, Paris 19573 67-92; Id., La théologie au douzième siècle, Paris 1957, 249-250.

20    Cfr. The fundamental rights of christians an the exercise of the munus sanctificandi; II Sessione.

21   Cfr. Liber II, d. 37, q. I, a. 1, ad Ium; ibid., Liber IV, d.49, q. I, a. 1; ma cfr. soprattutto la S. Theologiae, I, q. 79, a. 11, resp.

22  Cfr. ibid. I/II q. 90-105 (legge); II/II, q. 57-59 (diritto).

23  Basti pensare che un grande dommatico e metafisico come Suarez dedicò, complessivamente, più di 10 anni per scrivere il De Legibus, in cui egli sviluppa, a partire da precisi fondamenti filosofici e teologici, sia una teoria generale della Lex che dello Ius.

24   Cfr. i passaggi già citati sopra in nota 21. Su questo problema cfr. A. Scola, La legge naturale in S. Tommaso (in corso di pubblicazione).

25  Ci si rifensce alla profonda trasformazione della ragione, non priva di appiattimento, operatasi nel pensiero moderno dopo Kant. Su questa evoluzione della ragione, come è noto ha riflettuto molto la Scuola di Francoforte; cfr. per es. Th. W. Adorno, Negative Dialektik, Franfurt a.M. 1973, spec. 137-294.

26  Cfr. Les droits fondamentaux de la personne dans la perspective du Common Law; V Sessione.

27  Cfr. per es. A. Verdross, Abendländische Rechtsphilosophie. Ihre Grundlagen und Hauptprobleme in geschichtlicher Form, Wien 19632, 159-162.

28  Cfr. E. Corecco, Diritto, in: Dizionario Teologico Interdisciplinare. Vol. I, Torrino 1977. spec. 120-133; id., Theologie des Kirchenrechts, o.c., 33-44.

29  Cfr. per es. C. Vagaggini, Teologia, in: Nuovo Dizionario di Teologia, o.c. 1589-1606.

30  Cfr. Los derechos fundamentales del cristiano en la Iglesia y en la societad; Sessione d’apertura.

31  Cfr. La communio comme critère des droits fondamentaux: I Sessione.

32  Cfr. Die methodologische Lage des katholischen Kirchenrechts, AfkKR 147 (1978) spec. 360-376.

33  Cfr, Grundwerte und Grundrechte in der Gesellschaft und im Staat; V Sessione.

34  Cfr. Derechos fundamentales y familia cristiana; VI Sessione.

35   Cfr. P. Fedele, Aequitas canonica, in: Enciclopedia del Diritto, Milano 1958, Vol. XV, 147-160.

36  Cfr. Ordnung der Kirche. Lehr- und Handbuch des Kirchenrechts auf ökumenischer Basis, Frankfurt a.M. 1961, 5-7.

37  Cfr. A. Rouco Varela – E. Corecco, Sacramento e Diritto: Antinomia nella Chiesa? o.c., 48-52.

38  Betrachtung zur Systematik eines neuen Codex Iuris Canonici: Ex Aequo et Bono. Willibald M. Plöchl zum 70. Geburtstag, hrsg P. Leisching – P. Pototsching – E. Potz, Innsbruck 1977, 15-21.

39  Cfr. F. Coccopalmerio, De conceptu et natura iuris ecclesiae, PRMCL 66 (1977) 447-4474.

40  Cfr. G. Ghirlanda, Il diritto civile “analogatum princeps” del diritto canonico?, Rassegna di Teologia 16 (1975) 588-594.

41  De analogia inter Verbum Incarnatum et Ecclesiam (L.G. 8a). PRMCL 66 (1977) 499-512.

42  De natura iuris ecclesiae proprii notanda, PRMCL 66 (1977) 567-582.

43  Cfr. I diritti fondamentali dei cristiani e l’esercizio dei munera docendi et regendi; II Sessione.

44  Cfr. Grundwerte und Grundrechte in der Gesellschaft und im Staat; V Sessione.

45  Cfr. Freiheit und Bindung in der Kirche; I Sessione.

46  Cfr. Grundrechte in Recht und Tradition der reformatorischen Kirchen; IV Sessione.

47  Cfr. Fundamentos eclesiologicos de una teoria de los derechos fundamentales del cristiano en la Iglesia; I Sessione.

48  Cfr. Ökumenismus und Veruwirklichung der Grundrechte der Getauften; IV Sessione.

49   Cfr. K. Mörsdorf, L’autonomia della Chiesa locale. Atti del Congresso Internazionale di Diritto Canonico: La Chiesa dopo il Concilio (Roma 14-19 gennaio) Milano 1972. I 163-185.

50   Cfr. LThK, Konzil II, 151 n. 4.

51  Cfr. Das Synodale Element der Kirchenverfassung, Munchen 1970, 318-366.

52  Infatti quest’ultima è generata secondo gli Orientali più da un vincolo di amore nello Spirito Santo, che dalla legittimità di un’autorità fondata sul possesso di un ufficio ecclesiastico; cfr. M. J. Le Guillou, Mission et Unité. Les exigeances de la communion, Paris 1960, II 184-200; cfr. anche E. v. Ivanka, Sobornost in: LThK, Freiburg 19642. IX 841-842.

53   Cfr. H. Jedin, Strukturprobleme der ökumenischen Konzilien (Arbeitsgemeinschaft für Forschung des Landes Nordrhein – Westfalen. Geisteswissenschaften. Heft 115), Köln und Opladen 1963, 11-13.

54  “Una Ecclesia per totum mundum in multa membra divisa” (Epist. 55-24).

55   Milano 1970. Testo onginale: Das Ganze im Fragment. Aspekte der Geschichtstheologie, Einsiedeln 1963.

56  Cfr. Derechos fundamentales del hombre en la perspectiva latino-americana; V Sessione.

57   Cfr. J. M. Lochmann, Ideologie oder Theologie der Menschenrechte: Die Problematik des Menschenrechtsbegriffs heute, Conc. 15 (1979) 204-209. In questo contesto può essere citato dallo stesso quaderno di Concilium l’articolo di W. Huber, Menschenrechte. Ein Begriff und eine Geschichte, 199-204.

58   Diritti fondamentali dell’uomo, diritti fondamentali del cristiano, EJCan 34 (1978) 211-246.

59  Cfr. Les droits de l’homme et la loi naturelle, New York 1942, 80-88. Per la fondazione dei diritti dell’uomo in J. Maritain si veda soprattutto A. Scola. La fondazione dei “Diritti dell’Uomo” in J. Maritain; V Sessione.

60  Cfr. Grundrechte in Recht und Tradition der reformatorischen Kirchen; IV Sessione.

61   Les droits de l’homme à l’intérieur des Eglises protestantes, RHPhR 4 (1978) 379-397.

62  Tipici rappresentanti di questa tendenza nella filosofia del diritto sono stati i protestanti Samuel Pufendorf e Christian Wolff e, nella loro scia anche Hegel, che considera come supremo dovere dell’individuo quello di essere membro dello Stato: “Der Staat… hat… das höchste Recht gegen die Einzelnen., deren höchste Pflicht es ist, Mitglied des Staats zu sein” (Grundlinien der Philosophie des Rechts, Leipzig 1911 §258, 195. Ch. Wolff, da parte sua, aveva affermato nel suo Ius naturae (Gesammelte Werke, II. Abt., Band 17, Hildesheim-New York 1972, §§ 24 e 25, 20-21): “Quoniam ius oritur ex obligatione… Obligatio prior est iure, hoc est, ante ponenda est aliqua obligatio, quam ius aliquod concipi possit… Si nulla esset obligatio, nec ius ullum foret”; cfr. A. Verdross, Abendländische Rechtsphilosophie. o.c., 128-163.

63   Cfr. E. Corecco, Diritto, in: Dizionario Teologico Interdisciplinare, o.c. 127-128; cfr. anche il recentissimo e stimolante volume di Piero Bellini, Respublica sub Deo. Il primato del Sacro nella esperienza giuridica dell’Europa preumanista, Firenze 1981, spec. 29-77.

64  Cfr. Individuelle und gemeinschaftliche Verwirklichung der Grundrechte; III Sessione.

65  Les droits fondamentaux dans la perspective de la Lex Fundamentalis et de la révision du Code de Droit canonique; III Sessione.

66  Questo metodo di approccio ai problemi ecclesidogici è presente anche nei testi del Vaticano II. Nei confronti di questa ecclesiologia vale la critica di peccare di sistematicità – a scapito della storia – e di pragmatismo, mossa contro Rahner stesso che fu uno dei principali ispiratori della teologia della Lumen Gentium; cfr. G. Colombo, La teologia della Chiesa locale, in: la Chiesa locale, a cura di A. Tessarolo, Bologna 1970, 23-30; cfr. anche D.T. Strottmann, Primauté et Céphalisation. A propos d’une étude du P. Karl Rahner, Iren. 37 (1964) 187-197.

67  Il Documento di Puebla ha saputo affrontare il problema ecclesiologico ad un livello più fondamentale; cfr. E. Corecco, Prospettive per la Lex Ecclesiae Fundamentalis e la revisione del Diritto Canonico nel Documento di Puebla, DEC 1 (1980) 3-23.

68  Cfr. C.-J. Pinto de Oliveira, Evangile et droits de l’homme. 3. Originalité théologique de Jean Paul II in: Jean Paul II et les Droits de l’homme. Une année de pontificat. Fribourg – Paris 1980, 65-67.

69  “Ecclesia omnibus et singulis hominibus, utpote ad imaginem Dei creatis, dignitatem humanae personae propriam recognoscit et profitetur, itemque officia et iura quae ex eadem profluunt agnoscit atque, omnium hominum vocationis ad salutem ratione, etiam tuetur”. Il fatto che la Chiesa “agnoscit” i doveri e i diritti derivanti dalla dignità della natura umana non significa ancora che li recepisce nel proprio ordinamento giuridico. D’altra parte ci si può chiedere perché solo la protezione tuetur e non anche il riconoscimento agnoscit è sottoposta alla clausola omnium hominum vocationis ad salutem ratione.

70  Per tutti valga l’esempio dell’articolo di J. A. Coriden, Menschenrechte in der Kirche. Eine Frage der Glaubwürdigkeit und Authentizitat. Conc, o.c. 234-239. Un altro esempio di come la problematica dell’applicazione dei diritti dell’uomo nella Chiesa venga posta più con intenti di mobilitazione dell’opinione pubblica che di analisi scientifica è l’articolo di A. Macheret, Jean Paul II et les Droits de l’homme. 2. Appréciation politique et juridique, in: Jean Paul II et les Droits de l’homme, o.c., 49,52.

71   Derechos fundamentales y familia cristiana; VI Sessione.

72   Die methodologische Lage des katholischen Kirchenrechts, AfkKR 1. c., spec. 369-372.

73  Cfr. per es. J. Ratzinger, Freiheit und Bindung in der Kirche; I Sessione.

74   Cfr. per es. W. Aymans, Munus und Sacra potestas; II Sessione.

75  Cfr. R. Sobanski, Die methodologische Lage des katholischen Kirchenrechts, 1. c. 370.

76  Fundamentos eclesiologicos de una teoria de los derechos fundamentales del cristiano en la Iglesia; I Sessione.

77  Cfr. O. von Nell-Breuning, Subsidiaritätsprinzip, in: StLex, Freiburg 1962, VII 826-833.

78   Cfr. E. Corecco, L’inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento, alla luce del principio scolastico Gratia perficit, non destruit naturam: Strumento Internazionale per un lavoro Teologico, Communio 16 (1974) 28-41 e 17 (1974) 30-51 (traduzione tedesca in AfkKR 143 (1974) 379-442); Id., Il sacramento del matrimonio: cardine della costituzione della Chiesa: Strumento internazionale per un lavoro Teologico, Communio 51 (1980) 3-29 (traduzione in AfkKR 148 (1979) 353-379).

79   Per es. Graziano nel C. 3 che porta il titolo “Non asperis, sed blandis verbis ad finem sunt aliqui provocandi” – della D. XLV, si rifà ad un brano della lettera di Papa Gregorio al vescovo Pascasius di Napoli (Lib. XI, epist. 15), in cui, in merito alla conversione forzata degli ebrei, si afferma: “Nam quid utilitatis est, quando etsi contra longum usum fuerint vetiti, ad fdei illis conversionem nihil proficit”.

80   Cfr. per es. W. Aymans, Munus und Sacra potestas; II Sessione.

81  O. Höffe (Le Pape Jean Paul II et les Droits de l’homme, 1. Réflections philosophiques. in: Jean Paul II et les Droits de l’homme, o.c. 30-31) critica questa riduzione dei diritti fondamentali dell’uomo al diritto della libertà di coscienza. Tuttavia a sua volta, affermando che il dintto alla vita è primario, non tiene conto della diversità dei piani e dei fini a cui devono essere riferiti i singoli diritti fondamentali. Non c’è dubbio che in ordine alla salvezza il diritto alla libertà di coscienza prevalga su tutti gli altri diritti.

82  Su questo problema cfr. H. Urs von Balthasar, Christlicher Stand, Einsiedeln 1977, spec. 294-314.

83  Cfr. Derechos fundamentales del hombre en la perspectiva latino-americana; V Sessione.

84  Cfr. Du régime temporel et de la liberté, Paris 1934, Annexe I.

85   I principi portanti del Libro V De bonis Ecclesiae temporalibus del progetto di codificazione sono prevalentemente di stampo apologetico e presi a prestito dal IPE. La preoccupazione è quella di affermare prima di tutto che la Chiesa gode di un ius nativum di acquistare e possedere beni propri (Can. 1205 §1). Da questo diritto deriva quello, comune ai sistemi fiscali di tutti i tempi, di esigere dai cristiani i mezzi finanziari necessari al raggiungimento dei propri scopi sociali (Can. 1211). Anche nel § 2 del Can. 1205, dove il discorso verte sul fine dei beni ecclesiastici, l’idea della comunione dei beni non è resa esplicita.