9. Indicibile gioia nel sacrificio di sé

Il Vescovo è ricoverato per l’ennesimo intervento chirurgico e partecipa alla celebrazione eucaristica in Cattedrale nella Notte di Natale del 1994 inviando un messaggio ai fedeli

Cari confratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle nel Signore,
il giorno della nascita di Gesù per noi cristiani è in se stesso un giorno di indicibile gioia. Ci ricorda e ci fa rivivere il momento nel quale Dio si è rivelato al mondo, mostrandosi come un bimbo che piange e sorride in una culla.
La nascita di un bambino, in qualsiasi situazione avvenga, anche tra le più dolorose della vita, è sempre un momento magico: fa nascere in tutti una grande voglia di festa.
Per noi cristiani la nascita di Gesù è un giorno di gioia per un motivo incommensurabilmente ancora più profondo. E’ una gioia che scaturisce da un evento non solo umano, ma dal fatto che questo Bambino è il nostro Redentore. Con questo Bambino inizia la storia della nostra salvezza che, oltre a concederci il perdono di tutti i peccati, ci dà la possibilità di conoscere il vero volto di Dio: quello della Trinità.
II Natale è tuttavia un momento di gioia mai disgiunto dal dolore. Non lo fu neppure il primo Natale, quello in cui Gesù nacque corporalmente e realmente da Maria di Nazareth, poiché non solo i disagi corporali, ma anche la paura che qualcuno sopprimesse il Bambino, turbarono ben presto la gioia della Sacra Famiglia.
Tuttavia, anche gli innumerevoli Natali celebrati dai cristiani nel quadro di immani sofferenze fisiche e morali non hanno mai perso quell’attimo di gioia insopprimibile provocata dalla nascita di Cristo.
Il Natale cristiano porta sempre con sé l’esperienza della gioia e del dolore.
In un testo della liturgia ambrosiana, l’autore sacro interroga Gesù avvolto in fasce: “Quare rubicunda vestimenta tua?”: perché le tue vesti sono già macchiate dal sangue della Croce?
Cari fratelli e sorelle, come il Natale di Nostro Signore, così come quello di moltissimi cristiani e della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne di questo nostro pianeta, anche il mio è tinto quest’anno non solo di gioia, ma anche con un po’ di dolore.
In effetti, ho dovuto sottopormi a Berna, proprio nell’imminenza del Santo Natale, a un intervento di chirurgia ortopedica nella zona del bacino.
Evidentemente, non esiste nessuna proporzione tra il dolore di Cristo sulla croce, tra quello da cui sono atrocemente afflitti miliardi di persone e la sofferenza fisica e morale di chi subisce un intervento chirurgico in un ospedale moderno superattrezzato, come lo sono i nostri.
Tuttavia, un rapporto tra queste diverse manifestazioni della sofferenza umana esiste: sta nel fatto che tutti coloro che soffrono, indipendentemente dalla gravità della loro sofferenza, possono diventare, sull’esempio e credendo in Cristo, fonte di purificazione e di espiazione del male commesso da noi stessi, nella nostra società e nel mondo intero.
So benissimo che, paragonato alla stragrande maggioranza di chi soffre, posso avvalermi di un privilegio straordinario: quello di essere accompagnato dalla vostra preghiera. So di aver accumulato, grazie a voi, un patrimonio di preghiere così enorme, che mi permette di superare ogni difficoltà, come lo permetterebbe a qualsiasi altra persona.
La difficoltà maggiore, del resto, non viene mai dalla sofferenza fisica e morale in quanto tali, bensì dall’accettare la malattia come un segno della presenza di Dio nella nostra vita. Di fronte a questo segno siamo invitati a pronunciare interiormente il nostro “si”, come ci invita a fare la preghiera modello del cristiano, il Padre Nostro: “sia fatta la tua volontà”.
Del resto anche per Cristo il momento più difficile da superare non è stato quello della Croce, ma quello dell’orto del Getsemani, quando, sudando sangue, ha avuto la netta percezione di dover permettere al Padre di compiere la Sua volontà: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22, 42).
Sono sicuro, cari fedeli, che l’immenso patrimonio di preghiere da voi accumulato in questi anni, per aiutare il vostro Vescovo, sarà anche questa volta estremamente efficace.
Proprio in forza di questa certezza faccio il possibile per accettare dal Signore questa nuova difficoltà. Sono però altrettanto sicuro che l’aiuto che vi apprestate a darmi avrà un risvolto benefico anche per voi stessi, le vostre famiglie e tutta la cerchia delle persone che vi sono più care.
Malgrado la precarietà della gioia di chi vive oggi questo Natale, tormentato dalla fame, dalla violenza e dalla guerra, chiedo al Signore che in tutti voi, in seno alla vostra famiglia, in compagnia dei vostri figli e dei vostri amici, prevalga, su tutto quello che potrebbe offuscarlo, il momento e l’espressione della gioia.
L’augurio di “Buon Natale”, che correntemente ci scambiamo, deve mantenere intatto il suo significato e il suo auspicio: quello di essere la manifestazione della nostra fede in Gesù Cristo, che, grazie al fatto di averci redenti con la sua nascita, morte e risurrezione, permette a tutti i credenti di vivere almeno per Natale un momento di profonda riconoscenza e letizia.