2. Il primato di Cristo

Omelia durante a celebrazione eucaristica nella cappella dell’Università di Parma, 5.dicembre.1991

Oggi la Chiesa e tutti noi ci interroghiamo su come annunciare Cristo alla società contemporanea. Nel momento in cui l’espressione più avanzata e scientifica della modernità, quella del comunismo, ha subito nei Paesi dell’Est europeo la sconfitta politica più rovinosa che una ideologia abbia mai conosciuto nella storia, quale deve essere il messaggio dei cristiani all’Europa?
La caduta dei regimi totalitari all’Est pone oggi la Chiesa faccia a faccia con l’altra espressione della modernità, apparentemente più moderata: quella della cultura occidentale capitalista. Una cultura e un sistema politico, che non potendo più legittimarsi come baluardo insostituibile contro l’espansione del materialismo dialettico, hanno perso parte del loro prestigio. La sfida culturale per i cristiani è, di conseguenza, diventata improvvisamente più stringente e precisa.
In una società capitalista e pluralista come la nostra, che, a differenza di quella costruita all’Est dal materialismo dialettico, non nega necessariamente e sempre l’idea di Dio, ma la riduce spesso a opinione, tanto più tollerabile quanto più rimane circoscritta alla sfera privata del cittadino, noi cristiani siamo ancora legittimati a predicare agli uomini l’unicità della salvezza in Cristo?
Il problema fondamentale, cui è confrontata la Chiesa contemporanea e con essa tutti noi cristiani, chierici e laici, non è infatti in primo luogo quello di rendere plausibile al mondo, in cui siamo immersi, la morale cristiana, ma quello di possedere ancora la forza culturale e il coraggio di annunciare agli uomini del nostro tempo l’unicità della salvezza di Cristo.
Avanza, infatti, a grandi passi, nella cultura occidentale, in stretto contatto ormai con le grandi religioni orientali, la persuasione che l’incarnazione del Logos in Gesù Cristo non è unica, bensì una delle tante manifestazioni del Logos stesso. Tutte le grandi religioni, infatti. Rivendicano di essere, anch’esse, fondate su una rivelazione, contenuta nei rispettivi libri sacri.
Il Gesù storico della Palestina può ancora avere la pretesa assoluta di essere l’unico Figlio di Dio, unico Salvatore per tutti gli uomini?
La risposta a questo interrogativo è centrale, sia per il compito che ci incombe di evangelizzare nuovamente la nostra cultura europea, sia per annunciare Cristo alle culture extra-occidentali, affacciatesi ormai sulla scena del mondo contemporaneo.
La cultura moderna, sostanzialmente europea, è nata dall’affermazione che la ragione umana è l’unica fonte conoscitiva per poter comprendere la realtà, il significato della vita umana e della storia.
Tuttavia la scoperta recente e sempre più palese dei limiti teoretici, sociali e politici, inerenti alla cultura moderna, e della sua incapacità radicale a risolvere, sia in Occidente che in Oriente, il problema della convivenza pacifica degli uomini, ha dato ormai avvio alla fine dell’epoca moderna, facendo entrare l’Occidente nella fase della post-modernità.
La cultura dominante ha però avallato tra i cristiani la convinzione diffusa che anche per la Chiesa cattolica sia iniziata la fase della post-cristianità. Una post-cristianità che nasce, non tanto dalla constatazione dei limiti storici della cristianità, bensì dall’accettazione, da parte del cristianesimo, di essere considerato, dalla cultura contemporanea, solo una delle tante forme di religiosità umana.
Per l’uomo post-moderno, il cristianesimo e, in modo esponenziale, la cattolicità, dovrebbero accettare di collaborare con tutte le altre religioni e denominazioni cristiane e con tutte le forze spirituali del mondo, per realizzare alcuni valori comuni, come la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, rinunciando però ad una visione propria sul significato della storia.
Se così fosse, la giustizia umana, presupposto della pace, e la salvaguardia dell’ambiente, diventerebbero non solo il punto di riferimento di ogni prassi ecumenica tra i cristiani, ma anche il valore assoluto ed esclusivo per la convivenza tra gli uomini, di fronte al quale anche la fede nella trascendenza di Dio e nella divinità di Cristo dovrebbe inchinarsi.
Se dovessimo accettare che la Chiesa non ha il suo fondamento nel fatto dell’unicità dell’incarnazione del Lògos, Figlio di Dio, la conseguenza sarebbe la sostituzione dell’annuncio di Cristo al mondo con il dialogo, inteso come semplice scambio di convinzioni soggettive ed opinabili.
All’interno stesso della Chiesa la conseguenza sarebbe che ogni fedele è autorizzato, a livello della fede e della morale, a prendere o lasciare ciò che più gli conviene.
Prenderebbe ulteriore consistenza il fenomeno, in atto anche fra noi fedeli praticanti, del cattolicesimo «à la carte ». Un Cristo e un cattolicesimo a misura dei nostri gusti e delle nostre esigenze individuali.
Di fronte a questa situazione, i testi del nuovo Testamento, dalla lettera ai Colossesi e dal prologo di San Giovanni, che abbiamo ascoltato in questa celebrazione, e ai quali potremmo aggiungere anche il primo capitolo della lettera agli Efesini, rivestono un’importanza fondamentale.
In effetti, sia l’apostolo Paolo che San Giovanni, confrontati con una cultura greco-romana, sostanzialmente sincretista, si sono trovati in una situazione analoga alla nostra, caratterizzata da un profondo relativismo culturale e religioso.
Per intaccare alla radice questa cultura pagana, essi sono così risaliti all’origine Stessa del rapporto di Dio con l’uomo, rivelandoci che la chiamata di Dio all’uomo è previa alla creazione stessa del mondo. San Paolo ha posto il «lògos», Figlio di Dio, nel cuore stesso dell’atto creativo del Padre.
Egli, il Padre, scrive nella lettera agli Efesini (1,4): «ci elesse in Gesù Cristo prima» (e non dopo, come siamo inclini a pensare comunemente) «della creazione del mondo stesso». Ciò significa che la paternità di Dio nei confronti della nostra persona è più antica della creazione del mondo; precede l’esistenza stessa della materia originale da cui, per successive evoluzioni, si è formata la realtà incommensurabile del cosmo. L’uomo trascende perciò l’universo creato .
Il nostro rapporto di figliolanza, di fronte a Dio, anticipa il rapporto di dipendenza stabilitosi tra la realtà creata e il Padre, nel momento stesso della creazione del mondo, rivelatoci dal libro della Genesi.
Il secondo elemento di questa rivelazione apostolica sull’origine del mondo e dell’uomo è quello della funzione mediatrice svolta dal Lògos nella creazione. Il Verbo, che era in principio presso Dio ed era Dio, è l’immagine attraverso la quale ogni creatura è stata creata. «Tutto fu fatto per mezzo di Lui e senza di Lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto», scrive San Giovanni nel prologo del suo Vangelo (1,1-3).
Nella lettera ai Colossesi, San Paolo prosegue affermando, come abbiamo sentito, che il «Figlio è l’immagine del Dio vivente, primogenito di tutta la creazione, poiché in Lui sono stati creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, visibili ed invisibili. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui», per cui tutti gli esseri trovano la loro consistenza intrinseca in Lui (1, 15-17).
Se l’uomo è stato creato dal Padre attraverso il Verbo, immagine perfetta del Padre, che, per analogia, ha esercitato la stessa funzione dell’immagine intellettiva nei confronti della nostra conoscenza umana, ciò significa che non è esatto dire che Gesù Cristo si è incarnato assumendo un modello di natura umana preesistente. San Paolo e San Giovanni affermano, infatti, che l’uomo stesso è stato creato secondo il modello dell’umanità che Cristo avrebbe assunto nel tempo e nella storia. Tocchiamo, fedeli cristiani, i vertici della contemplazione del mistero di Dio creatore e della conoscenza che l’uomo può avere di se stesso e della propria origine.
È l’uomo ad essere fatto ad immagine di Cristo, primogenito di tutta la creazione, e non il Cristo ad immagine dell’uomo. Cari fratelli e sorelle nel Signore,
Gesù Cristo Signore, Verbo di Dio e immagine perfetta del Padre, ha plasmato l’origine stessa della nostra persona. Il libro della Genesi, infatti, ci rivela che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Ciò significa che la salvezza dell’uomo e la nostra salvezza personale possono avvenire solo attraverso la persona stessa di Cristo. Se Cristo è stato il modello unico, attraverso il quale il P a d re ci ha creati, la nostra salvezza non può avvenire se non attraverso la restaurazione in noi di questa immagine, grazie alla redenzione operata da Cristo stesso sulla croce.
L’unicità della salvezza di Cristo rimane perciò l’elemento imprescindibile e centrale della nostra fede. Non possiamo eliderla dalla nostra coscienza, senza degradare la rivelazione cristiana a religione naturale umana: fosse pure il prodotto della migliore e più nobile razionalità umana; di una ragione, però, incapace, per definizione, di penetrare nel tempio sacro del mistero della paternità di Dio verso l’uomo e verso le nostre singole persone.
Se dovessimo rinunciare, pur nel totale rispetto di tutte le altre proposte religiose, ad annunciare questa verità centrale della nostra fede al mondo, noi cristiani, non solo capitoleremmo di fronte alla cultura dell’epoca postmoderna, ma non avremmo più nulla di proprio da annunciare all’Europa per la sua nuova evangelizzazione. Problema che, oltre tutto, i Vescovi riuniti in Sinodo a Roma con il Papa in questi giorni, sono chiamati oggi ad affrontare.
L’essenza del Cristianesimo, infatti, affermava Romano Guardini, non sta nella più alta nobiltà della sua dottrina morale, personale e sociale, bensì nella persona di Cristo.
Solo l’unicità della persona stessa di Cristo, in cui il Lògos si è incarnato, può porsi come salvezza per tutti gli uomini, poiché è solo la sua unicità che può porsi come oggetto comune del nostro amore.
Ma l’unicità della Sua Persona ha come conseguenza anche quella di essere il punto unificante della nostra persona.
L’ amore verso Cristo unifica tutte le nostre energie, dando unità alla nostra persona. La salvezza della nostra vita sta, infatti, nel realizzare l’unità interiore della nostra persona; unità che solo Cristo può garantirci con la sua Grazia.