Prefazione

È ancora con noi e continua a parlarci
di Mons. Giuseppe Torti*

Non solo ricordo, non solo gratitudine, ma ritrovare e vivere ancora la sua presenza, che continua in mezzo a noi, nella spiga ger­mogliata dal seme da Lui deposto nella terra della nostra Chiesa.
Questo è il sentimento immediato, che invito tutti a vivere, acco­standosi a questo libro.
Per sentire che il Vescovo Eugenio è vivo, seppur nel mistero di Dio; ma ancora vivo, come quando era ancora con noi, prima che di­cesse il suo ultimo “sì” – quello più importante della nostra esistenza di uomini, come lui stesso ci aveva più volte ripetuto – accogliendo la chiamata e accettando di andare sempre con Lui, con Gesù che, negli ultimi tempi, usava chiamare nelle sue omelie, “la persona più cara”. Sentirlo ancora con noi, per ritrovare quella forte certezza che Lui ci ha annunciato sempre, fino alla fine: “la vita non muore con la morte”.
C’è una ricchezza che non si può mai perdere, né dimenticare: è quella dell’amore. Il Vescovo Eugenio Corecco ha voluto bene alla sua gente, l’ha amata, insegnando e testimoniando “la cosa più im­portante”: dare un significato eterno alla nostra esistenza nell’incon­tro con il Signore, con la Salvezza da lui portata, con la sua Pasqua, che è Croce e Risurrezione. Un messaggio che lui ha ripetuto e rin­novato sempre, ovunque, in ogni occasione, conducendoci quasi per mano, con decisione, con benevolenza estrema, spesso con il sorriso, anche da ammalato, facendoci entrare nell’essenzialità del mistero della nostra esistenza e del suo significato più vero: “incon­trare il Signore e vivere per sempre con Lui”.
Un messaggio radicale che ha impreziosito e dato significato al suo intenso e pur breve episcopato, ripercorso in questo libro con familiarità e confidenza; soprattutto con amore e tanta gratitudine.
Per far conoscere e amare di più.
Sicuramente, fra le molte cose, la più importante che il Vescovo Eugenio ha fatto, è stata quel suo continuo e incessante richiamo alla radicalità del nostro credere e della nostra fede, sollecitando, con vigore e immediatezza, il nostro impegno di testimoniarla, per partecipare agli altri la scoperta che cambia la vita e dà significato vero ed eterno alla nostra esistenza.
E la gente – la nostra gente – lo ha capito e lo ha amato. Una comprensione e un amore che sono cresciuti nel tempo, man mano che andavamo approfondendo la conoscenza della sua ricca perso­nalità. Così gli anni del suo Episcopato sono stati una continua sco­perta di questo Vescovo, risultato alla fine un autentico dono al Ti­cino e alla nostra Chiesa. E insieme l’abbiamo amato sempre di più.
Emblematica a questo riguardo è stata l’adesione alla sua perso­na, alla sua parola, alla sua proposta da parte dei giovani, che l’han­no cercato e seguito, vivendolo come una guida per la loro fede e come un costante punto di riferimento.
Ha operato in Diocesi scelte coraggiose, fin dall’inizio: talune anche criticate, a volte non capite, talora pure osteggiate. Ma ha proseguito con coraggio e tenacia, leggendo sempre con chiarezza dentro la globalità di un progetto, per il quale, negli ultimi mesi, chiedeva ancora un poco di tempo – quel tempo che per lui si era fatto breve, come sottolineava spesso – nell’ansia di poter dare basi sicure a sue iniziative, che erano seguite ad altrettante intuizioni. Come in particolare la sua Facoltà di Teologia, che aveva voluto in Ticino, unitamente al Seminario diocesano, da lui riportato a Luga­no da Friborgo.
Chiedeva tempo non tanto per se stesso, e lo faceva capire con concreto realismo, anche quando la malattia avanzava ormai ineso­rabile, ma per le sue opere.
Eppure, proprio il periodo della sua malattia, quando umana­mente poteva sembrare che la presenza si facesse faticosa, più debo­le, meno efficace, è divenuto, per la testimonianza del suo coraggio e della sua fede, come pure per la sua aperta e matura accoglienza della volontà del Signore, il momento più forte del suo stesso episcopato; il momento in cui maggiormente è entrato nel cuore della nostra gente, della sua gente. Questo si ricollega allo stesso mistero della Salvezza di cui è stato un forte annunciatore; si riallaccia al mistero della croce, che umanamente può apparire falli­mento, mentre nel piano di Dio – che è piano di totale gratuità nel­l’amore, anche se al nostro cuore di carne può apparire incomprensibile – diviene il momento della salvezza e della redenzione. Il mo­mento della Pasqua; è il mistero del seme, riascoltato durante i fu­nerali in Cattedrale: se muore porta molto frutto.
D’altra parte lui stesso l’aveva dichiarato alla trasmissione televi­siva, “Controluce”, con immediatezza e spontaneità, perfino con il sorriso: “può darsi che la malattia mi sia più utile della salute”.
Ha colto così a fondo la funzione della sua malattia – non facen­done peraltro mai mistero -, da non redigere nemmeno un testa­mento spirituale, come vescovi e preti usano fare, lasciando invece alla sua gente, quale eredità preziosa, la sua testimonianza sul tem­po ultimo della sua vita terrena: quella raccontata a “Controluce”, o a Trevano, nell’incontro promosso da Caritas. Testimonianze ripor­tate in questo libro, nella forza del loro coraggio e nella freschezza del loro messaggio, che rimane sempre attuale.
Del resto la partecipazione dell’intero Ticino – credenti e non credenti – alla sua morte, è stata una chiara testimonianza, la rispo­sta limpida della gente al suo Vescovo; un saluto commosso che si­gnificava affetto, stima, gratitudine. Insieme un continuo pregare a testimoniargli che l’essenzialità del suo messaggio era stata recepita.
Siamo certamente ancora agli inizi nel cogliere la grande perso­nalità del Vescovo Corecco e la qualità del suo apporto alla Chiesa universale, alla nostra Diocesi e al Ticino. La sua dimensione di ca­nonista e teologo, le sue intuizioni, la sua visione dei problemi, cui si accompagnava una grande capacità di sintesi, che lo portava all’essen­ziale, la sua impostazione pastorale, anche la sua franchezza: sono tutti elementi che ancora dobbiamo ulteriormente approfondire, che il tempo ci rivelerà nella loro dimensione più chiara, per arrivare alla piena comprensione di questo grande Vescovo, che insieme alla sua forte personalità, rivelava, a stargli vicino, una grande bontà d’animo, un’estrema semplicità e una grande disponibilità.
E questo libro – e a nome dell’intera Diocesi ringrazio chi lo ha curato e chi vi ha collaborato – è un primo passo di questo fare me­moria (e fare memoria nel linguaggio cristiano, significa ritrovare presenza e attualità di un evento), di questo entrare, per conoscere meglio e amare di più, nella persona del nostro Vescovo, al quale la nostra Chiesa di Lugano e l’intero Ticino devono molto.
Nelle ultime settimane ho vissuto un’esperienza commovente e di grazia: poter celebrare alla sera, nell’ora dei vesperi, la Santa Messa nella sua camera. Lui concelebrava, serio e sereno, mostran­do sul volto, che ogni giorno indicava l’avanzare del male, la pace di chi sta già entrando, per sempre, nel mistero di Dio e del suo amo­re. Un passaggio, aveva spiegato a Trevano, importante, al quale bi­sogna prepararsi, attraverso la malattia, per essere pronti, nel mo­mento della morte a dire di sì al Signore. È quello che in lui è avvenuto: per questo la sua morte è stata serena. Così ci ha insegnato a morire, dopo averci insegnato a vivere.

* Amministratore Diocesano