3. Nella malattia il tempo si fa breve

Convegno Associazione Ticinese Terza Età (ATTE), Lugano 03.10.1994.
(La trascrizione è tratta dai: Quaderni Caritas Ticino, marzo 1995, pp. 15- 18)

Permettetemi di tentare un parallelo tra la malattia grave e la terza o la quarta età, non certo perché queste ultime siano una, o la malattia della vita, anche quando fosse disseminata e segnata da sofferenze corporali e spirituali.
Prescindendo dalla evidente diversità tra la malattia e la terza età, esiste tra le due situazioni un fatto comune: quello del tempo. Nell’uno e nell’altro caso una persona si accorge che il tempo stringe; che il tempo non è più quello di una volta, al quale, vivendo, si poteva anche non pensare.
Il tempo diventa una presenza costante nell’orizzonte quotidiano di una persona gravemente ammalata o anziana. Si intensifica e circoscrive con maggiore precisione la vita, facendone emergere, non solo la finitezza, ma soprattutto il valore.
Il tempo diventa una presenza alla nostra vita che non possiamo più eludere, dimenticandolo, come quando eravamo sani o giovani. Questa constatazione non è assolutamente negativa, poiché lo possiamo e lo dobbiamo vivere come esperienza positiva.
Per quanto mi concerne, mi sono accorto che, in questa situazione, l’essenza della vita si è concentrata, assumendo uno spessore esistenziale molto più forte di prima. Immagino che anche moltissimi tra di voi se ne siano accorti. La vita assume una dimensione di urgenza, prima insospettata, anche se l’ipotesi di guarire o di poter vivere ancora a lungo fosse reale.
Si capisce che, oltre ad essere irripetibile, il tempo è diventato breve, per cui deve essere vissuto ed apprezzato più intensamente di prima. Questo non certo per quello che si riesce ancora a fare, ma per quello che si vive interiormente, paragonando sé con se stessi e con il proprio destino.
In questa prospettiva il passato diventa secondario: quello che conta veramente, poiché ne siamo ancora padroni, è solo il tempo presente. Infatti, solo se viviamo nel presente potremo vivere il futuro secondo il tema del Congresso: lo ero, io sono, io sarò.
Assieme alla coscienza che il tempo stringe, emerge in modo sempre più chiaro la propria solitudine. Infatti, o non abbiamo più chi ci accompagna nella vita, come quando eravamo giovani, o ci rendiamo conto, se siamo ammalati, che, malgrado l’affettuosa solidarietà di molti – che comunque è sempre di immenso aiuto – nessuno può sostituirsi alla nostra persona. Due anni e mezzo fa’, dopo un’intera giornata di analisi in ospedale, ho percepito forse per la prima volta la solitudine che mi circondava. Il medico avrebbe potuto ancora offrirmi, come segno della sua affezione, un tè da sorseggiare, ma era tutto quello che avrebbe potuto ancora fare. Poi, avrei dovuto fare i conti da solo, con me stesso.
Anche facendo questa constatazione non intendo affatto caricarla di significato negativo. Anche la solitudine, sempre comunque presente alla nostra persona, può e deve diventare una possibilità per prendere più consapevolezza di noi stessi.
Tanto più che per acquisire questa coscienza della vita e del significato del nostro destino non è mai troppo tardi. Può sopraggiungere anche alla fine, e questo basta.
Sia la certezza che il tempo si fa breve e si carica di una intensità umana nuova, sia il saper fare i conti con più grande maturità con la nostra solitudine, che ci fa scoprire il valore irripetibile della nostra persona, mi sembrano i due aspetti comuni, profondamente positivi, tanto della malattia quanto della vecchiaia. Ci aiutano a vivere con più grande dignità, e magari anche con maggiore convinzione, il significato della nostra vita presente, passata e futura.
Ognuno potrà trovare, nei valori in cui ha sempre creduto, la propria soluzione: quella che lo può sorreggere maggiormente, e mi auguro che lo possiate fare tutti, per non vivere la terza e la quarta età nei rimpianti, nella malinconia o nella rassegnazione, ma è normale che per un cristiano questa nuova interiorità si traduca in preghiera.
E’ inevitabile per un credente, in queste situazioni della vita, pensare alla sua origine stabilendo un rapporto più intenso, in mezzo al volto delle cose di tutti i giorni, con il Signore, dal quale sa di dipendere nella sua esistenza. Ciò da un significato vivibile anche alla solitudine, perché nella preghiera interiore il cristiano cerca e scopre una Compagnia ultima per la sua persona, destinata a diventare quella definitiva.
Se questa mia testimonianza sarà stata utile a voi per vivere sempre più intensamente e con grande sicurezza nel cuore, sono ben felice di essere riuscito a comunicarvela.

1 Riportiamo integralmente la lettera che Mons. Corecco inviò a tutti i fedeli Diocesi tramite il Giornale del Popolo il 17.01.1994
Cari confratelli nel sacerdozio, care Suore, cari fratelli e sorelle del Consiglio Pastorale Diocesano,
dal 3 al 10 gennaio sono stato sottoposto ad approfonditi controlli medici all’Inselspital di Berna, in seguito all’accentuarsi di disturbi nel periodo pre-natalizio. La diagnosi ha evidenziato una ripresa del quadro clinico precedente. che sarà affrontato con una radioterapia, come era già avvenuto nel 1992 con buoni risultati. Eventuali ulteriori misure terapeutiche saranno stabilite in base al decorso della situazione.
Di ciò sento il dovere di informarvi, sia perché la malattia non è un fatto da nascondere, bensì da saper vivere con grande consapevolezza nella prospettiva della conversione personale, sia perché l’aiuto che mi potete dare con la preghiera e il vostro rinnovato impegno pastorale personale è molto grande.
Il Salmo 62 (v. 5), che recitiamo nelle Lodi della domenica, afferma che «la tua grazia vale più della vita». Se la grazia di Dio, che è la forza salvifica di Gesù Cristo nella nostra esistenza, vale di più della vita stessa, ciò che è altrettanto vero per la malattia. Sono certo che, anche questa volta, la preghiera vicendevole e quella delle vostre comunità avrà la potenza di creare tra noi un vincolo di unità più profonda.
Anche la nostra comunione reciproca è frutto della grazia di Dio e vale perciò più di qualsiasi altra cosa. Posso chiedervi di accompagnare nel Signore il pellegrinaggio che dal 12 al 20 febbraio p.v. compirò in Terra Santa, con un centinaio di giovani?
Affidandoci gli uni e gli altri alla Vergine Maria, Madre di Dio, vi mando la mia benedizione.